mercoledì 27 febbraio 2019
La poesia si nutre di memoria e il fare poetico di Guido Longobardi – letterato, giurista e politico di lungo corso (fu il primo presidente del consiglio comunale di Bologna, negli anni '80 e '90) – non fa eccezione. Richiami è il titolo della sua nuova raccolta poetica (Book, pagine 80, euro 14,00), con una nota di Alberto Bertoni. Partiamo dalla poesia eponima: «Sofferte attese / preparano i giorni / che più forte / al limite dispongono / il faticato passo / nuovo e fermo / irriducibile / ai richiami». Sembra che il poeta intenda, pur faticosamente, seguire una propria strada, senza dare ascolto ai richiami. Quali richiami? Possono essere ricordi che distoglierebbero dal cammino, oppure ipotesi alternative alla meta prefissata, e non senza dolore (“Sofferte attese”). Altrove, il richiamo può essere segnale amoroso: «I tuoi richiami / potevo intendere / da quella lontananza / come s'intende / da sponde opposte / il segnale di luce / riflesso allo specchio / e da mano sapiente / orientato. / Tu già pronta all'incontro / per donarmi di te / le tue notti azzurre». Qui il richiamo diventa “gibigianna”, che la Crusca definisce «lampo di luce riflessa su una superficie da uno specchio, dall'acqua ecc.». Voce lombarda ormai desueta, usata però da Carlo Porta, Antonio Stoppani, Carlo Bertolazzi (che ne fece il titolo d'una sua commedia) e anche da Clemente Rebora e Corrado Govoni; rintracciabile perfino in questi versi del giovane Alessandro Manzoni: «Del sole il puro raggio / rotto dall'onda impura / sulle vetuste mura / gibigianando va». In Longobardi la gibigianna (o gibigiana) diventa guida al convegno amoroso. Ma il richiamo può anche indicare tacito rifiuto: «Il richiamo / che mi perviene / quanto valga / a dissipare questa riluttanza / ti è noto / e dunque / a rinnovate offerte / puoi resistere ancora / e questa inclinazione / sottrarre / ad un'insolita lusinga». Tra le altre occorrenze non possiamo sorvolare su questa intensa poesia in cui il “richiamo” rimane inascoltato (Nullum Signum) perché il legame che innervava l'impegno si è dissolto: «Di altre voci / non ascolti più / il richiamo, /ormai dissolto / quell'antico legame / che più alti incontri / svelò il nostro impegno / e fermo / ne segnò gli approdi». La versificazione di Longobardi risente della cultura tardo ermetica, incentrata com'è sulla specificità della parola. Un po' datata, dunque, ma talmente sincera da guadagnarsi rispetto e simpatia. Alberto Bertoni, nella Nota, non entra in sottigliezze filologiche, pur non dimenticando di essere un accademico. Preferisce sottolineare «l'affabilità dell'io poetante» e riconosce a Longobardi l'attenzione a sfuggire al rischio «di faticare a trovare un timbro tutto proprio e mai condizionato dal viluppo di voci altrui che possono far perdere il sentiero della propria voce istintiva al poeta che sia (com'è giusto e necessario) anche lettore».
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