giovedì 17 dicembre 2015
Ieri (“Italia Oggi”, p. 14: «I preti di strada in Vescovado») ritrovi Mauro Mellini, storica firma radicale, che ora storce la bocca per due recenti «nomine» di Papa Francesco, per lui «pescate nelle schiere di Prelatura Democratica… nomine imprevedibili che cadono su persone umili per elevarle improvvisamente a posti tanto elevati nella scala del potere». A parte il resto dell'articolo, dove si mescolano riferimenti a Gioachino Belli e al «frasario romanesco» talora cervellotici, stupisce la meraviglia: forse nella tradizione ebraico-cristiana la scelta di “ultimi” secondo il mondo ha radici profonde – da David a Maria di Nazareth, ai pastori di Betlemme, ai peccatori sempre chiamati a novità impensate – e dovrebbe rallegrare chi per tanto tempo ha lamentato potere e prestigio come indebite pretese di Chiesa Cattolica. Ma, ora che è visibilmente diverso, Mellini pare contrariato dal fatto che un Papa per chiamare fratelli nel servizio non muove, come si accusava da sempre, da posizioni di prestigio e potere, ma di povertà e semplicità. È libertà sua, ovviamente, ma scherzosamente, e romanescamente, penso al grande Trilussa, che parla di «vipere». Dal sonetto “Er disarmo”, quando una vipera è costretta dagli eventi a cambiare vita: … «er veleno che ciò va tutto a male/ Nun m'arimane che una via d'uscita/ in una redazzione de giornale». E un altro sonetto racconta la vicenda di una vipera bastonata dal contadino e costretta a prendere atto di una diversità imprevista: «…ché da allora la Vipera fu vista/ cor pezzo de la coda riformista, e la capoccia rivoluzzionaria». Ecco: sia contento, Mellini, che questa Chiesa per quanto dipende dagli uomini abbia oggi stile di povertà e rifiuto di onori derivati dal potere. Del resto per quello che dipende da Dio ci pensa Lui stesso, e da duemila anni!
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