Rai 3, l'ironia in corsia è un buon antidoto
martedì 23 gennaio 2018
Al di là del «tono surreale e satirico» sulla vita quotidiana del reparto di urologia oncologica di un ospedale italiano, «il pubblico credo abbia apprezzato il realismo». Parola di Mattia Torre, regista di La linea verticale, la serie in onda il sabato alle 21,45 su Rai 3. Generalmente l'autore è il meno indicato a parlare del proprio lavoro. Ma in questo caso, soprattutto per il fatto che il racconto è autobiografico, Torre ha sintetizzato perfettamente i “modi” della narrazione: un mix tra realismo, surrealismo e satira. Di ospedali, si è detto più volte, è piena la tv. Poche volte, però, la sanità in chiave televisiva è trattata dalla parte del paziente. È successo di recente con Braccialetti rossi, dove gli “eroi” non sono più i medici, ma i degenti. Anche La linea verticale propone il punto di vista del malato, ma il tono del racconto, come detto, non è solo realistico. La novità sta proprio nel creare situazioni surreali (anche oniriche) e ironiche nel bel mezzo del dramma. La storia, narrata tra emozione e distacco, è infatti quella di Luigi (Valerio Mastandrea), un quarantenne che durante una visita medica scopre di avere un tumore al rene sinistro. Un mese più tardi, accompagnato dalla moglie Elena, incinta del secondo genito, viene ricoverato e operato. In ospedale prende coscienza di un microcosmo molto particolare dove la vita è dettata dagli altri secondo precise regole. Un microcosmo dove si manifestano appieno bontà e cattiveria. Qui incontra particolari compagni di viaggio tra cui un prete più a suo agio con l'iPhone che con i sacramenti, che finisce per trasmettere, almeno nei primi episodi, un'immagine negativa della Chiesa che va ad aggiungersi alla primissima sequenza in cui il protagonista, una volta saputo di essere malato, pensa al proprio funerale ed esclude subito quello cattolico dove «per la maggior parte del tempo non si capisce cosa il prete dica: legge dalla Bibbia parabole di dubbia presa sul pubblico e cita a vanvera episodi della sua infanzia». Il tutto sulle immagini di gente in chiesa che pensa ai fatti propri o addirittura legge il giornale. Si tratta, è vero, di particolari, ma anche questi fanno opinione. Per il resto non si può non apprezzare l'originalità della serie e l'interpretazione di Mastandrea, uno dei pochi attori capaci di passare tranquillamente dal tragico al comico e viceversa.
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