domenica 11 maggio 2003
«Così ho ucciso il mio bambino e ho perso ogni punto di riferimento. Ho lasciato il mio ragazzo, ho vergogna del mio corpo, sono andata in analisi... Mi chiedo se riuscirò ancora ad amare». Scrive così a Io donna (il supplemento settimanale del Corriere della Sera, sabato 3) una "ragazza di vent'anni" che ha abortito perché il suo ragazzo le "ha lasciato carta bianca" e i suoi genitori le «hanno invece fortemente consigliato di abortire». Questo è il risultato per una giovane che, scrive, «non riuscivo a pensare a un figlio solo come a una maledizione». Purtroppo la psicologa Silvia Vegetti Finzi, che risponde alla sua lettera, invece di incoraggiarla, tenta di distruggere in lei anche l'idea di figlio: «L'embrione è infatti parte del corpo materno [...] solo lentamente diviene un figlio, grazie al riconoscimento operato dalla madre, alla sua accettazione e ospitalità. Se manca un grembo psichico pronto ad accoglierlo, rischia di rimanere un oggetto estraneo, un intruso [...] Abortendo entro i termini stabiliti dalla legge non hai ucciso nessuno, soltanto rifiutato una possibilità, respinto un progetto potenziale». La Vegetti Finzi non ha nemmeno il dono dell'originalità e ripete vecchi stereotipi femministi: il figlio un pezzo di carne femminile, un "oggetto estraneo". Proprio quello che induce certe madri ad abortire nella speranza di una impossibile liberazione da "un intruso" che, come si vede, resta. CONFUSIONE ECUMENICA Ecco un modo sbagliato di concepire l'ecumenismo: quello sottostante al giudizio di "Enciclica che va all'indietro", che l'Unità (giovedì 8) affibbia alla "Ecclesia de Eucharistia", motivandolo così: «Il Papa difende l'identità tradizionale della Chiesa». Questa sarebbe la "funzione latente" che, nel quadro di "una strategia di conservazione identitaria", il Pontefice avrebbe assegnato all'Enciclica. Le prove? Soprattutto «una nota del Dipartimento di teologia dell'Unione cristiana evangelica battista d'Italia». Purtroppo è diffusa nel mondo evangelico, l'idea che l'unità sperata dall'ecumenismo possa essere raggiunta solo se ciascuna Chiesa o comunione cristiana appiattirà la propria identità su una specie di media ricavata dalle diversità di ciascuna. Naturalmente solo Dio conosce la strada giusta, ma l'unità fra i cristiani non sarà una media né una somma di differenze. Per l'elementare motivo che per capirsi bisogna che ciascuno sia se stesso e poi che nessuno pretenda che a cambiare sia soltanto l'altro (ovviamente la Chiesa di Roma). Così facendo, però, invece dell'ecumenismo otterremmo solo una gran confusione. IL GRANDE FRATELLO «Il Grande Fratello» ha vinto. Venerdì 9, Il Tempo, Il Giornale, La Stampa e persino il Corriere della sera hanno messo in prima pagina l'esito di uno dei più infelici programmi televisivi (bocciato dal Comitato Tv e minori con il voto persino dei rappresentanti delle emittenti), ma che, purtroppo, riscuote un successo straordinario quasi a riprova che sono i telespettatori a non volere una tv di qualità. La Stampa ha definito la vincitrice "un'eroina", ma il Corriere ha fatto di più: "Vince una storia vera", ha scritto. Vera?
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