domenica 30 novembre 2014
Dopo il principio di autodeterminazione ecco quello di autoassoluzione, che ne è la conseguenza e trasforma gli uomini in burattini, incapaci non soltanto di autodeterminarsi ma anche di assumere le conseguenti responsabilità: la mente, la capacità di giudizio, la coscienza, la volontà non hanno più senso. Siamo automi. Tutto questo si può dedurre dalla recensione di Chiara Lalli del più recente saggio (Vivere le emozioni, Sonzogno) di Livio Della Seta, psicoterapeuta e membro della Società di Terapia Comportamentale e Cognitiva. Secondo ciò che sul Corriere della Sera (venerdì 21) ne scrive Lalli (docente di Logica e Filosofia della Scienza alla Sapienza), le emozioni «sono strettamente connesse al pensiero e intese come potente strumento cognitivo», ma poiché «non esiste una mente separata dal cervello […] ciò che noi ancora chiamiamo psichico nasce, in realtà, dal corpo» e ci determina. Ciò significa che «il libero arbitrio non esiste», che «il nostro comportamento non poteva che essere quello» e noi non potremmo che «alleggerire» la nostra coscienza. Insomma saremmo automi guidati dall'istinto, dai meccanismi delle circonlocuzioni cerebrali e potremmo, tranquilli, affermare: «Siamo sempre più innocenti di quanto pensiamo». Questa è la psicopolitica delle dittature che manipolano i cervelli con il potere e con l'antilingua, manovrando la conoscenza, ma è anche il comodo "scaricacoscienze" del laicismo. Nell'uomo vero e libero il cervello è solo lo strumento e il deposito del pensiero, della mente, dell'anima. L'uomo potrà autoassolversi solo se lo strumento funzionerà male non per colpa sua. L'ABORTO, VITTORIA O SCONFITTA?«Sull'aborto abbiamo vinto»: tutta una pagina di Repubblica (giovedì 27) per un articolo di Catherine Deneuve che canta vittoria sui 40 milioni di bambini che ogni anno, nel mondo, sono uccisi in grembo alle loro madri. Vengono i brividi a leggere quella pagina. L'attrice aggiunge: «Mettere in dubbio questo progresso fenomenale è come se volessimo ripristinare la pena di morte». Nella foto accanto al titolo, la Deneuve sorride: forse pensa alla sua firma sul "Manifesto delle 343", un appello di personalità femminili che hanno abortito e che «volevano mettere fine alla penalizzazione dei clienti delle prostitute». Tutti motivi per dire che «essere donna è bello». No, così no: è brutto. Anche per il seguito: «I movimenti per la vita rimangono un'aberrazione». Due giorni prima, sempre su Repubblica, Corrado Augias dialogava con un lettore convenendo che papa Francesco ha un po' esagerato quando, nel discorso ai medici cattolici, ha «tirato in ballo il coraggio» degli obiettori di coscienza: «Di quale coraggio si tratta dal momento che la legge la consente e che la grande maggioranza dei medici se ne avvale?». Provocazioni, ma silenzio sulla quotidiana campagna di stampa, Repubblica compresa, contro l'obiezione e sulle accuse ai medici obiettori di carrierismo, mancanza di solidarietà, tradimento della loro missione. Possibile che Augias non si renda conto di quello che scrive? «Non sempre l'obiezione è di coscienza, ma risponde ad altre ragioni molto meno nobili» e nemmeno «a ragioni di pura umanità». Possibile che non si accorga che questi giudizi generici e senza prove sono gravemente offensivi per un'intera categoria dei medici? Gli obiettori onorano la professione proprio con il loro rifiuto di tradirla uccidendo i più piccoli e più deboli esseri umani che attendono non un veleno o qualche ferro, ma di essere accolti ciascuno come uno di noi, quale anche Augias è stato. No, l'aborto è una disastrosa sconfitta che coinvolge tutta l'umanità, Augias e Deneuve compresi e un po' anche noi, che non riusciamo a far vincere la vita.
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