Provare con il pessimismo: dà sollievo ma attenzione all'«umiltà del male»
sabato 28 maggio 2011
Ho sempre pensato che dire "cose brutte" e pessimistiche senza diventare pessimisti e cupi, può essere liberatorio. È una cosa che solleva lo spirito. Che alleggerisce dal peso di quelle responsabilità fittizie (intenzioni astratte, ambizioni sbagliate) per cui si immaginano mete da raggiungere con tutti i mezzi, mentre poi questi mezzi raggiungono raramente lo scopo desiderato.
La realtà può essere poco bella. Ma i desideri, i programmi e le dichiarazioni di principio, per quanto oneste, diventano illusioni che generano offuscamento o ipocrisia. Un mio amico che sa bene che cos'è il teatro e quali effetti di realtà (liberatori) sa produrre, mi disse tempo fa che il rapporto difficile tra la Costituzione e la realtà italiana potrebbe essere appianato cambiando il primo articolo della Costituzione, da riformare così: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sulla corruzione». A quel punto la realtà e la legge dello Stato coinciderebbero e il conflitto tra fatti e valori sarebbe superato. Moralmente sarebbe un riposo. Se poi la norma venisse infranta, sarà un bene e saremo felici.
Un altro esempio mi viene dal libro di Antonio Franchini Memorie di un venditore di libri (Marsilio), in cui il personaggio di don Procolo ha scelto un motto aureo: «' e libri nun se vendono! Ma nun è che nun se vendono mo'. 'E libri nun se so' venduti maie!». Se partiamo dal punto più basso, se partiamo da zero, tutto il di più darà soddisfazione, e vendere cento copie di un libro ci sembrerà un miracolo.
Il gioco è bello ma dura poco. Perché non è vero che i libri non si vendono. Si vendono. Solo che si vendono bene soprattutto i libri che somigliano meno ai libri. I libri fanno un po' paura, se fanno pensare. Non è una legge, è una costante statistica. Forse è questa "l'umiltà del male": siamo troppo umili per tentare di migliorarci.
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