mercoledì 15 gennaio 2020
Il più grande poeta del '900, Saint-John Perse, Premio Nobel 1960, ha fama di essere difficile, oscuro, perché usa vocaboli attinti dalle classificazioni botaniche o zoologiche, e da linguaggi caraibici, essendo nato nella Guadalupa nel 1887. È morto nel 1975 dopo una vita di intensa attività diplomatica nel ministero degli Esteri francese (dal 1916 al 1921 fu segretario dell'ambasciata francese a Pechino, dal 1933 fu segretario generale del ministero). Nel 1940 scelse l'esilio negli Stati Uniti perché inviso dal governo di Vichy e rispettosamente distante da De Gaulle perché, a suo avviso, i generali non dovrebbero entrare in politica. Poeta difficile, oscuro? Ma egli stesso disse che se un vocabolo non si trovava nel Petit Larousse (noi diremmo «nella Garzantina»), non lo usava, e qui viene a proposito ricordare che una funzione (non la principale, ma comunque importante) della poesia è appunto di accrescere la familiarità dei lettori con i dizionari. Qualche anno fa, esattamente nel 2009, l'Università di Cergy-Pontoise ha organizzato un convegno dal titolo “Saint-John Perse en ses dictionnaire: l'idiolecte d'un poète”, dove illustri filologi, critici letterari, docenti di estetica tennero brillanti relazioni, coordinati da Catherine Mayaux (per chi non l'avesse sulla punta della lingua, l'idioletto è la lingua individuale, usata da un poeta, uno scrittore, una comunità, all'interno di un sistema linguistico). La relazione della professoressa Joëlle Gardes Tamine, della Sorbona, ha analizzato “La sintassi nominale di Saint-John Perse”, e qui va ricordato che la poesia è (dovrebbe essere) strutturata sui nomi (il poeta dà il nome alle cose), mentre la prosa si regge sui verbi, a indicare il dinamismo delle azioni. Gardes osserva che l'uso ripetuto, anaforico, dei nomi in Saint-John Perse potrebbe dare un'impressione di staticità, addirittura di catalogo, ma non è così: il ritmo coinvolge i nomi, i sostantivi, in un movimento incessante, come un'onda, per usare una metafora cara a Saint-John Perse. Un esempio dal poema Vents (Venti): «Ainsi dans le foisonnement du dieu, l'homme lui même foisonnant… Ainsi dans la dépravation du dieu, l'homme lui même forlignant… Homme à la bête. Homme à la conque. Homme à la lampe souterraine». Nella bella traduzione di Romeo Lucchese, l'effetto «onda» è meno accentuato che in francese, comunque sussiste: «Così nel moltiplicarsi del dio, l'uomo stesso si moltiplica… Così nella depravazione del dio, l'uomo stesso degenera… Uomo con la bestia. Uomo con la conchiglia. Uomo con la lampada sotterranea». Anabase, il poema che nel 1924 diede a Saint-John Perse notorietà internazionale, è stato tradotto in inglese da T. S. Eliot, e in italiano da Ungaretti. Nel volume della Pléiade con l'opera omnia di Perse, ci sono tre lettere a Eliot. In quella del 22 settembre 1949, Perse informava con imbarazzo che il contratto editoriale non prevedeva un compenso per il traduttore, lasciando comunque a Eliot ogni decisione, in nome dell'amicizia. Evidentemente c'è stato accordo, perché l'Anabase bilingue è stata stampata, ma quante meschinità editoriali coinvolgono anche i grandi. Eliot aveva ricevuto il Nobel nel 1948.
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