mercoledì 13 dicembre 2006
Mi fere il sol che tra lontani monti,/ dopo il giorno sereno,/ cadendo si dilegua, e par che dica/ che la beata gioventù vien meno.Ma sì, una volta tanto ritorniamo ai giorni (per me lontani) della scuola in cui s"imparavano a memoria poesie come queste: chi non riconosce nei versi citati quel gioiello poetico leopardiano che è Il passero solitario? Ho scelto questa immagine per oggi a causa di una connessione simbolica suggestiva: come è noto, il 13 dicembre è il giorno dedicato a s. Lucia, nome bellissimo perché contiene in sé la parola "luce", la più importante perché il nostro pianeta viva, ma anche la più simbolica, tant"è vero che essa diventa nella Prima Lettera di Giovanni (1, 5) una definizione di Dio, per altro sulla scia di una tradizione spirituale universale.Ebbene, la luce può essere ammirata all"alba, nello splendore della sua nascita, segno di giovinezza, come suggeriva un sapiente dell"Antico Testamento, Qohelet: «Dolce è la luce e agli occhi piace vedere il sole» (11, 7). Ma può essere contemplata anche al tramonto, quando diventa simbolo del tempo che fluisce, dello svanire della gioventù come dice Leopardi. La luce è, quindi, una parabola della vita che dev"essere amata non solo nel fervore del suo vigore ma anche nel suo pacato attenuarsi. Certo, noi ci aggrappiamo al fulgore della luce, come pare facesse Goethe con quelle sue ultime parole, Mehr Licht!, «Più luce!». Eppure era stato lui, nel suo capolavoro Faust, a ricordarci «quale tumulto porti la luce». Essa, infatti, rischiara una vita luminosa com"è quella della martire siracusana Lucia, ma svela anche le macchinazioni del perverso, gli inganni nascosti, le miserie celate. Per questo la luce è necessaria non solo al mondo ma anche alla nostra esistenza morale.
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