giovedì 6 febbraio 2020
«Ho lavorato a un poema tutto il giorno. Al mattino ho aggiunto una virgola e nel pomeriggio l'ho tolta». Chi si appresta a scrivere una poesia, un saggio, un romanzo e aspira a molti lettori, se tenesse ferme in mente queste parole di Oscar Wilde, sarebbe più prudente e più parco nello scrivere o addirittura vi rinuncerebbe. Quello di scrivere molto e leggere poco pare essere un male italico già denunciato da Leopardi: «Ormai si può dire con verità, massime in Italia, che son più di numero gli scrittori che i lettori» ("Zibaldone" 5 febbraio 1828). Tanta irrefrenabile ipertrofia editoriale è sospetta e perfino disorientante per gli stessi librai e addetti ai lavori. Alcuni scrivono tanti libri in un solo anno, sollecitati dal narcisismo, dalla scalata alle classifiche, da una sorta di nevrosi. Quanti conoscono la responsabilità dello scrivere, vale a dire sono consapevoli che alla genesi di un libro vi deve essere un'ansia di verità, che per ogni definizione e descrizione vi è la parola necessaria, che il lettore ha diritto al rispetto, cioè al rigore verbale e all'arricchimento personale? Il grande Scevola Mariotti diceva a noi giovani filologi: «Nella vostra pagina non vi sia un filo di grasso che cola». Chi abbia letto la Bibbia o Sofocle, Dante o Leopardi, come fa poi a leggere certi libri?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: