venerdì 8 gennaio 2016
Milan e Roma sono in seppur diversa crisi. Il Social Championship non fa drammi: l'antica e iniqua sudditanza psicologica imposta dalle Grandi alle Provinciali è svanita nel business dei proventi televisivi e se «anche i ricchi piangono» gli ex poveri non fanno una piega, anzi: quando possono infieriscono sui club appartenenti a un'aristocrazia sempre più vacillante. (Anche con sberleffi, come il Carpi con la Lazio del pre-potente Lotito che non lo voleva nel salotto buono). Così il Chievo calpesta le certezze della Roma che parte gagliarda e arriva ferita e frastornata al fischio finale dopo aver fatto scendere in campo qualche centinaio di sprecati euro milioni e anche una inedita figurina - il figlio del Soldatino Di Livio - che invece di una speranza sembra un tentativo di addolcire deamicisianamente la resa. Il Milan fa anche peggio, cedendo sul suo campo a un potente decaduto da mezzo secolo - il Bologna che tremar faceva il mondo - che lo deride con un gol di Giaccherini, un onesto pedatore cresciuto dalle parti di Castiglion Fibocchi eppur forte solo della sua buona volontà che gli ha procurato amici eccellenti come Antonio Conte, Pantaleo Corvino e Roberto Donadoni. Non so se il re delle mozzarelle canadesi, patron dei rossobblù, se la rida di Berlusconi o se stia confrontandosi con Pallotta, l'Americano de Roma: sta di fatto che questi le loro Feste le han passate male, trasformandosi addirittura in befanoni prima di riaffacciarsi al mercato. Domani sera s'affronteranno all'Olimpico, Roma-Milan, ma non sarà un big match bensì una mortificante riffa giocata sulla pelle dei due tecnici che le cronache definiscono pateticamente in bilico mentre il loro popolo li ha da tempo sfiduciati. E il modo ancor li offende. Sì, senza atteggiarmi a buonista (mai lo fui) fa tristezza vedere come il Social Championship, giocato fra Facebook e Twitter, sui media e sui tazebao da stadio, diventi ogni giorno più feroce, velenoso, masochista: i romanisti deridono la Roma anche mentre passa il turno di Champions, i milanisti fischiano la squadra più vittoriosa del mondo che paga gli errori marchiani di una società che pur gli ha dato tutto e di più, purtroppo anche un trio di allenatori impotenti. “Ore d'Oblio” era un profumo del dopoguerra che prometteva inebrianti escursioni nei sogni, oggi è l'essenza di un tifo ingrato che a Roma dimentica di avere assistito imperturbabile alla rovina di un immenso patrimonio dato da Franco Sensi alla patria giallorossa; e a Milano propone, in polemica con Berlusconi, di santificare Rivera che di presidenti sciagurati e perdenti ne ha nutriti almeno quattro. E quei due tecnici, Garcia e Mihajlovic, che portano impresso sul viso il tormento anche umano della sconfitta e gli manca solo la lettera scarlatta sulla tuta a segnarne la definitiva perdizione. Gli affari del calcio, soprattutto quelli sbagliati, finiscono per nutrire analisi estranee alla sostanza: e qui si tratta solamente di errori banalmente tecnici di due società che continuano a ramazzare attaccanti e esibiscono orripilanti difese. Forse ha imparato la lezione anche Benitez, accantonato da Napoli e Real perché pervaso da spirito zemaniano; ma lui almeno se n'è andato sorridendo (anche per il lauto assegno ottenuto) mentre all'ex leone Sinisa e al bel Rudy resterà per lungo tempo la maschera di una smorfia addolorata.
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