venerdì 30 dicembre 2005
Dopo questa fine anno una cosa è chiara: mai voce fu pertinente di quella del Papa, che nel giro di poche settimane ha denunciato il consumismo e il rischio di una tecnologia, anche nel campo della comunicazione, che ci allontana dalla verità. La tavola è rispecchia tutto questo: quando si fa il cenone senza sapere per chi, ma solo per una forma. Se si sapesse per chi e per cosa ci si mette a tavola, non ci sarebbero quelle statistiche secondo cui un piatto su cinque viene gettato via. Mangiare insieme solo come forma ha dentro il vuoto delle relazioni. Eppure mangiare dovrebbe essere una «com-pagnia», letteralmente «dividere il pane».Ora, nel surplus delle calorie che i cenoni consegnano a una generazione ipernutrita, ci sono spesso i vini passiti. Intendiamoci, sono vere e proprie opere d"arte, figlie di un lungo e meticoloso lavoro di concentrazione degli zuccheri sia sui tralci sia in locali arieggiati dove sostano qualche mese. Poi, sotto le feste (da qui il nome Vin santo?), le uve diventano mosto con gli zuccheri non totalmente trasformati in alcol per lasciarci un vino dolce, molto alcolico, ricco di zuccheri.Se ne fanno in tutta Italia, dal Picolit alla Malvasia delle Lipari, dall"Albana ai Recioto del Veneto. Ma quando si consumano? Nella ristorazione odierna vengono serviti a fine pasto, in compagnia di qualsiasi dolce. Ma risultano un disagevole surplus, a volte, soprattutto dopo un lauto pranzo. In alcune tavole spuntano accanto al foie gras: ma ha senso, dopo l"aperitivo, servire già un vino dolce benché si abbini bene all"amaro del fegato? Allora rimescoliamo le carte: il vino passito con una degustazioni di formaggi erborinati, ma solo quello. Oppure il foie gras messo come secondo piatto. Oppure, ancora, il vino passito come vino da conversazione, lontano dai pasti, con un dolce a pasta secca.È stato coniato il termine «vino da meditazione», che presuppone un consumo oculato, centellinando piccoli sorsi di questa meraviglia enologica. E se lo stappassimo a mezzanotte con le persone più care? Eviteremmo il nazionalpopolare botto e berremmo all"insegna del gusto. Del gusto della vita.
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