Ok all’estero, male in Italia: la marcia indietro dei trattori
domenica 16 novembre 2014
​   Male in Italia, bene all’estero. È il paradosso che sta vivendo il comparto italiano delle macchine agricole: uno dei settori d’eccellenza dell’industria metalmeccanica nazionale, campione in qualità, ma non in vendite (almeno in Italia). È quanto si deduce a leggere i numeri sciorinati da Unacoma (l’Associazione che riunisce tutte le industrie impegnate nella produzione di macchine agricole), in occasione dell’edizione 2014 di Eima, la manifestazione dedicata alla meccanizzazione agricola.Accade quindi che se il fatturato e l’export risultano in crescita, con un incremento previsto a fine anno rispettivamente dell’1% e del 2%, l’andamento delle immatricolazioni sul mercato nazionale, nei primi dieci mesi di quest’anno, indica una flessione dell’1,7% per le trattrici (le macchine da sempre prese come indicatrici dell’andamento di mercato) e un passivo del 25% per le mietitrebbiatrici. Ma non solo, perché la sequenza storica delle immatricolazioni evidenzia la netta riduzione dei volumi di vendite. Nel 2004 il mercato nazionale assorbiva quasi 33 mila trattrici, un numero che è andato diminuendo costantemente, così da far prevedere a fine 2014 un numero di immatricolazioni non superiore alle 18.700 unità (il livello più basso dal dopoguerra). In termini percentuali, il mercato interno sconta nel periodo 2004-2014 una perdita complessiva di 43 punti, accentuando sempre più il divario rispetto a Paesi come Francia e Germania. Certo, consola ma non risolve il buon andamento delle macchine da giardino e la cura del verde: +11% nei primi nove mesi dell’anno. Ma la delicata situazione del settore rimane ancora tutta. Così come le cause che gli stessi imprenditori metalmeccanici agricoli riscontrano nei numeri dell’agricoltura italiana con superfici medie aziendali molto ridotte e dimensioni economiche ancora più ridotte. Basti pensare che, sempre stando ad Unacoma, il 61% delle imprese agricole (pari a poco meno di un milione), ha una produzione standard inferiore agli 8mila euro annui. Da tutto questo, il solito appello che, purtroppo, rischia di rimanere inascoltato: «Mai come in questo momento – è stato spiegato all’Eima – è necessario che si mettano in campo strategie d’emergenza specifiche per il settore primario, quelle che puntano a sostenere la multifunzionalità delle aziende quindi l’ampliamento delle opportunità di reddito soprattutto con le funzioni di manutenzione del territorio e prevenzione del dissesto, e quelle che puntano a finanziare, con strategie di lungo periodo, filiere con sicuri sbocchi di mercato prime fra tutte quelle bioenergetiche».
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