L’import del grano duro fa discutere la filiera
di Andrea Zaghi
Sul grano duro è scontro frontale tra i coltivatori diretti e il resto della filiera. Prezzi troppo bassi e invasione di prodotto straniero, per i primi. Necessità di far fronte con le importazioni ad una domanda più elevata delle disponibilità di prodotto nazionale, per i secondi. Con il governo che, in qualche modo, cerca di mediare e risponde ricordando quanto è già stato fatto per sostenere il settore. La “rabbia” dei coltivatori si è espressa da nord a sud dello Stivale qualche giorno fa con una serie di manifestazioni di piazza a Bari, Palermo, Cagliari, Rovigo e Firenze. Proteste, ha sintetizzato in una nota Coldiretti, contro i «trafficanti di grano che schiacciano il prodotto nazionale sotto i costi di produzione, costringendo le imprese agricole a lavorare in perdita e spingendo sempre più sulle importazioni estere». A rischio vi sarebbero, secondo l’organizzazione agricola, quasi 140mila imprese, soprattutto nel Mezzogiorno. Stando ai coltivatori i conti sono presto fatti. Il prezzo del grano duro è crollato a 28 euro al quintale (-30% in un anno), tornando ai livelli pre-guerra in ucraina, mentre i costi di produzione sono aumentati del 20% dal 2021. Detto in parole più semplici: un chilo di pasta oggi costa al consumatore circa 2 euro, ma agli agricoltori vengono riconosciuti appena 28 centesimi al chilo di grano. Una situazione ormai più che critica che non sarebbe però dovuta solo alle importazioni di grano dall’estero ma a tutto il sistema. La «dignità da ridare agli agricoltori», come dice Coldiretti, passerebbe per una revisione del sistema delle borse merci, «che vanno superate con una Cun (Commissione unica nazionale) per la formazione del prezzo», ma anche per controlli più severi e per un ampliamento dell’uso dei contratti di filiera in grado di offrire più garanzie ai coltivatori. Gli stessi coltivatori, tuttavia, ammettono: non c’è abbastanza grano italiano per rispondere alla domanda. Una condizione dovuta, però, al fatto che il prodotto «viene pagato agli agricoltori cifre offensive». E i trasformatori? I mugnai? Italmopa – l’associazione di Confidustria che raccoglie le imprese molitorie – spiega: «È ancora, purtroppo, opportuno ricordare che senza le importazioni di grano duro, l’industria molitoria non sarebbe più in grado di approvvigionare, nei volumi e nelle qualità richieste, l’industria pastaria italiana, con conseguenze drammatiche per un prodotto che rappresenta anche all’estero uno dei maggiori simboli dell’agroalimentare nazionale». I mugnai, poi, precisano che spesso è proprio una questione di qualità del grano duro nazionale non sempre all’altezza delle necessità. Da qui, appunto, il ricorso alle importazioni «spesso sensibilmente più onerose». Fronte contro fronte, dunque. Ma con un punto in comune: la necessità di investire di più in qualità e quantità. Proprio al raggiungimento di questi traguardi puntano le misure del governo. Non solo i contratti di filiera che pare mettano d’accordo tutti, ma pure maggiori controlli e soprattutto un’accelerazione nella ricerca per arrivare a varietà più produttive e resilienti. © riproduzione riservata
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