venerdì 30 dicembre 2011
Gli uomini avanti in età devono essere esploratori. / Il luogo e l'ora non sono importanti. / Noi dobbiamo muoverci senza sosta verso un'altra intensità, / per un'unione più completa e una comunione più profonda… / Nella mia fine è il mio principio.

In my end is my beginning: è l'ultimo verso del secondo (1940) dei Quattro Quartetti di quel grande, arduo e affascinante poeta che è stato Thomas Stearns Eliot. Era il motto dell'infelice regina Maria Stuarda di Scozia, giustiziata da Elisabetta I nel 1587, ed è anche una sorta di sigla che possiamo assumere per meditare sul gocciolare delle ultime ore di quest'anno. Ma risaliamo ai versi precedenti rivolti a coloro che hanno già vissuto molte fine d'anno. Non si deve cedere alla tentazione che nulla più ci attende, che abbiamo ormai visto tutto e sperimentato a sufficienza e, soprattutto, che ci attende solo una fredda lapide funeraria sulla quale idealmente sta scritto The end.
Il poeta, invece, ci ricorda che dobbiamo sempre pellegrinare nella vita, alla ricerca di un «oltre», anzi di «un'unione più completa e di una comunione più profonda». È quello che anche l'islam credente chiama l'Incontro per eccellenza col Creatore, che ci aspetta una volta varcata la soglia della morte. È per eccellenza anche l'annuncio cristiano che apre uno squarcio di luce oltre l'oscura galleria dell'agonia: «saremo sempre col Signore», come dice san Paolo, cioè nell'eterno e nell'infinito di quel Dio dalle cui mani siamo usciti e le cui mani alla fine ci raccolgono. Sì, in my end is my beginning, nella mia fine c'è un nuovo inizio.
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