martedì 28 novembre 2023

Le domande hanno risposte più accessibili di quanto si può pensare. Teorizzare soluzioni per ellissi centrifughe via via più distanti dal motivo scatenante attraverso associazioni, sillogismi, proposizioni è affascinante ma può rendere estremamente laborioso ciò che è semplice. Un impulso narrativo a fuggire dall’evidenza, esercizio privo di garanzia del senso, come certe grandi architetture che, a guardar bene, si lasciano contemplare per la composizione spettacolare e sono incapaci di relazionarsi intimamente con chi le abita. La deduzione forte è sempre un po' casa.
I large language models, telaio di ChatGPT e affini in costante aggiornamento, sono in grado di elaborare testi degni di nota, a volte sorprendenti, che non significano nulla. Il significato è lato client, come si usa dire nel marketing, ovvero è attribuito da noi inventando ciò che le IA non intendono, perché, semplicemente, non possono intendere nulla. I loro esiti possono essere razzisti, classisti, faziosi, violenti, sovversivi o seducenti, comprensivi, ferventi e religiosi, è vero, ma solo perché originati dai nostri input che utilizzano per istruirsi. Si tratta della imitazione di contenuti privati del senso di cui rimane unicamente una intelaiatura sintattica. Un volta che torniamo a contatto con i risultati della scomposizione e ricomposizione degli algoritmi noi riassegniamo loro un nuovo senso, ibrido di invenzione arbitraria cui finiamo con il credere. Il circolo vizioso produce progressive e imprevedibili variazioni che lasciamo sedimentare nel linguaggio fino a immaginarle nostre. La distorsione cognitiva che ne deriva è un edificio inedito in riusciamo a immaginare la possibilità di una delega del significato.
Il vero avvento delle intelligenze artificiali, insidioso e potenzialmente catastrofico, non sarà una generazione ipotetica e allucinata di androidi che erediteranno la terra, per utilizzare metafore bibliche tanto care ai profeti dell’apocalisse informatica. Si concretizzerà invece in una umanità che ha interiorizzato le repliche prive di senso confezionate dalle IA facendole proprie, dando significato a ciò che non lo ha, più per abitudine che per un vero e proprio atto di fede nelle tecnologie. In Blade Runner o Ex Machina, per citare il vintage ancora piuttosto attuale della filmografia scifi IA related, si compie un errore di prospettiva: l’androide vero non è il robot, ma l’uomo che lo genera, il suo pensiero innestato di istanze artificiali è più bionico di quanto si sia umanizzata la macchina. Nella convivenza obbligata a venire con le società a gestione mista IA, sarà utile tenere a mente che l’uscita da questi labirinti in grado di annichilirci con la loro complessità è sorprendentemente vicina. Il pensiero ha senso per una unica ragione: perché è incarnato. Non perché è sofisticato, profondo, articolato, sorprendente con le sue capacità di calcolo, ma perché, lo ripeto, è incarnato. Non è dato significato che non nasca dal corpo, il corpo di pelle, sangue, fibre muscolari, ossa, organi, fluidi e articolazioni, presentato dal mercato tecnologico come la negazione di qualunque visione futuribile, un ingombro da superare, come se fosse possibile. Viaggiamo pure nell’iperspazio stocastico, indaghiamo tutto ciò che è possibile indagare, ma ricordiamoci che tutto questo ha una unica origine e un punto inevitabile di ritorno: caro cardo salutis (come scriveva Tertulliano), il nostro corpo, le mie dita, le tue mani, i vostri occhi, la chiave di passato, presente e futuro che saremo.

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