giovedì 27 ottobre 2022
«Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna». Lo ripeteva spesso mia madre citando Ugo Foscolo. E lo faceva, sai Sergio, soprattutto con l’avvicinarsi del 2 novembre, quasi a voler sottolineare il rispetto di certe date che andavano onorate come si conveniva nelle famiglie dalle solide radici. Proprio com’era la nostra. E così, sono cresciuta nel culto dei cari che avevano lasciato questo mondo. Fiori freschi sulle tombe e luci perpetue sempre accese, oltre a un pensiero nelle preghiere quotidiane. Da qualche anno però, almeno a sentire le cronache giornalistiche che puntuali fanno il resoconto del “ponte dei morti”, l’affluenza ai cimiteri in quei giorni è in forte calo. Anche in questo qualcosa sta cambiando… «In altri tempi, Ale, il 2 novembre era un giorno di pietà arrivata nel cuore dell’autunno quasi per accordare la mestizia del tempo e la nostra. Me lo ricordo ancora: la gente usciva dal borgo che dava verso il camposanto. Lungo la strada c’era un gran daffare di bancarelle colme di castagne e dolcini secchi di tanti colori. Sembravano coriandoli. E i fiori poi…Una sfilza di tribunette di legno con i recipienti di latta allineati sugli scalini, l’etichetta della conserva di pomodoro strappata di fresco e un filo di ferro per manico. Non appena il guardiano apriva il cancello, il cimitero si animava di un viavai nero che quasi si disperdeva in rivoli più o meno ordinati tra i vialetti del camposanto. La rapida conoscenza dei piccoli sentieri, dei lotti, dei riquadri, dei fornetti, la facilità di quel viaggio dentro una semina di tombe, mi sorprendeva ogni volta. Ricordo che noi ragazzi spiavamo l’umore di mamma e papà: per tutto il tempo della visita si scambiavano poche parole. C’era l’erba da strappare e da cambiare l’acqua dei vasi inverdita dal tempo. Poi d’incanto si tornava più sereni. Come se ciascuno ne sapesse un po’ di più sulla morte. O forse sulla vita. Hai ragione, Ale, di questi riti trasmessi di padre in figlio se ne vedono sempre meno. Come del resto le famiglie: mescolate, sparigliate, allargate, surrogate. In un tale tramestio di sentimenti, come vuoi che si salvi, sempre che sia stato trasmesso, il culto dei morti?». Vuoi dire che certi lasciti affettivi non appartengono più a questa umanità? «Sempre meno. Nel nome della modernità e del progresso si confezionano alibi su misura. Crollano i riti poetici. Le devozioni abitudinarie non rispettano più il calendario perché quel giorno hai da fare o vorresti fare altro. Se la tua scala dei valori e perciò stesso delle priorità si scompone e ricompone al canto di effimere sirene, non c’è davvero eredità d’affetti che tenga. Insomma, Ale, quando un dovere diventa una scelta, allora vuol dire che il rito è morto e sepolto. Il rispetto per i propri defunti presuppone l’affetto per gli stessi in vita. E al di là della fede, scialuppa di salvataggio per ogni anima travolta dai cicloni generazionali, almeno il senso dell’eternità dell’amore vero». © riproduzione riservata
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