giovedì 13 febbraio 2014
Con Gert Marcus e Francoise Ribeyrolles, coniugi scultori svedesi, sono amico da quando ero poco più che ventenne. Lei dà forma al buio con le sue luci elettriche che rifrangono anche in una sola goccia d'acqua. Marcus conosce da Apollodoro d'Atene che il bianco sembra avanzare verso l'osservatore ed il nero recede. Così le sue sculture non hanno bisogno di ricorrere ai punti di fuga delle tele di Paolo Uccello. Lo spazio è gioia dello sguardo ed ogni volta che vi si pone dentro un oggetto, qualunque esso sia, lo si riduce e lo si peggiora. Il bianco è la veste più idonea a delimitare lo spazio stesso. Quando fui ospite nella loro casa studio di Stoccolma, fu una grazia dello spirito. Il pavimento era di legno tirato a calce. Anche le quattro pareti delle due sale ed il soffitto erano bianchissimi così che solo a varcare la soglia mi sentivo un intruso nella perfezione. Una stufa e un armadietto erano la cucina, un tavolo e due panche la sala, poi qualche branda e nessun mobile. Una tenda scorrevole, bianca, copriva interamente la relativa parete bianca. Verificai che l'oggetto e il denaro, sua cellula staminale, sono i nemici della libertà e della bellezza del mondo. Non siamo poi così lontani, dopo quasi due millenni, dagli irraggiungibili padri del deserto.
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