mercoledì 9 ottobre 2013
Domenica i giornali su Carlo Lizzani. "Repubblica" nell'annuncio funebre scrive «tragica scomparsa» e "Il Manifesto" evoca «l'inutile attesa della morte… pena, tristezza e sfortuna di vivere»… A proposito di Lampedusa, stesse pagine, leggo che le vittime hanno pagato con la vita «il reato di vivere». Ieri si aggiunge ("Fatto", p. 13, "Messaggero (p. 16), "Italia Oggi" (p. 14, ecc. ) anche Hans Küng, che «pensa all'eutanasia», dice che «il suicidio è compatibile con la fede» ed è «favorevole all'eutanasia attiva» anche per sé. Egli stesso dà questa spiegazione: «Di vita non sono stanco, ma sazio…». Dispiace davvero: individui diversi, anche lontani come cultura, ambedue conosciuti di persona. Ma pur nella coscienza di non dover mai presumere di poter giudicare in assoluto viene un dubbio: allora forse «l'inutile attesa della morte» può diventare l'intera stessa vita con tutti i suoi prodotti, il cinema per esempio, e migliaia di pagine di studio e riflessione… Anch'essi inutili? Leggo – per il regista – dichiarazioni di persone molto prossime che assicurano «una decisione lucida… non era malato, non era depresso» ("Corsera", p. 23) e che «il problema vero era la demotivazione» ("Stampa", p. 15). Ci penso e… qualcosa non fila. In ambedue i casi posso chiedermi se non si trattasse, anche o in gran parte, di solitudine? L'individualismo tocca anche le profondità più remote del nostro animo, e la solitudine – lo ha ricordato, qui, ieri, il direttore – è un cancro dello spirito. Nella vita ho incontrato tantissime persone nei giorni, nei mesi, negli anni terminali della loro esistenza e so che una mano che accarezza, che stringe, una voce che parla, che consola, che infonde gioia, anche la gioia di "attendere" la "vita" piena che arriva non hanno mai fallito il loro compito. Rispetto e tristezza, ma anche speranza: per tutti…
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