giovedì 10 aprile 2014
«Non ho trovato Marita. Almeno, però, in quest'aula si è fatta giustizia per le tante, troppe schiave invisibili di questo Paese». Il viso di Susana Trimarco era impenetrabile ieri mentre i giudici della Corte suprema di Tucumán leggevano la sentenza. Un verdetto di condanna per i dieci imputati, colpevoli di aver rapito e costretto a prostituirsi Marita Verón, la figlia di Susana. A tutti sono stati inflitti tra i 10 e i 22 anni di carcere. Uno spartiacque. A cui si è arrivati grazie alla lotta di Susana, la “madre-coraggio”, come la chiamano in Argentina. Data l'indifferenza della polizia – spesso collusa –, Trimarco, per 12 anni, ha indagato per proprio conto per scoprire i responsabili della scomparsa della figlia. È arrivata perfino a travestirsi da prostituta per infiltrarsi nei postriboli clandestini sparsi nel Paese. Mettendo a rischio la propria vita, Susana ha salvato oltre 200 schiave del sesso. Le sue marce e le suen denunce pubbliche hanno, inoltre, spinto, sette anni fa, il Congresso a votare una legge più severa contro la tratta di persone. Già nel 2012, le prove raccolte da Trimarco avevano portato in tribunale 13 presunti responsabili. Quella volta, i giudici li assolsero, scatenando un'ondata di indignazione nel Paese. A dicembre, però, la Corte suprema ha deciso di ribaltare il verdetto, per 10 dei 13 accusati. Nel frattempo, Susana non si è mai arresa. E assicura che continuerà a lottare: per sapere che cosa sia accaduto a Marita e alle altre migliaia – oltre 1.700 sono state liberate nel 2013 – “desaparecidas”.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI