Poche serie tv come M - Il figlio del secolo sono state precedute da una pubblicità così martellante. Tratta dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati sulla nascita del fascismo e l’ascesa al potere di Benito Mussolini, la serie ha debuttato ieri sera su Sky Atlantic e Sky Cinema Uno con i primi due degli otto episodi previsti. Nell’annunciarla, la produzione è ricorsa alla definizione “pop”, aggettivo che non vuol dire altro che «popolare», sia pure mediato dall’inglese «popular», tornato prepotentemente di moda, anche se oggi non corrisponde esattamente a quello che a suo tempo si usava per un certo tipo di arte o di musica, al quale si ricorre comunque sempre più spesso per classificare prodotti televisivi in qualche modo vicini ai gusti attuali del pubblico. In realtà, M - Il figlio del secolo più che un prodotto “pop” è un prodotto sofisticato e innovativo per la televisione: grande cinema adattato al formato televisivo, «tagliente e spiazzante», come l’ha giustamente definito Angela Calvini ieri su queste pagine. E questo a prescindere dal giudizio sui contenuti. Come il romanzo, anche la serie tv racconta la storia di un Paese che si è arreso alla dittatura. I fatti sono noti. È appunto il modo di raccontarli che è nuovo, a partire da un Mussolini (un bravissimo e irriconoscibile Luca Marinelli con gli occhi scuri, ingrassato, sbarbato e stempiato) che rompe la cosiddetta quarta parete e si rivolge in modo confidenziale direttamente al telespettatore, guardando dritto nell’obiettivo, rivelando le sue verità, i pensieri inconfessabili, sin dall’inizio quando spiega che «c’è sempre un tempo in cui i popoli smarriti van verso le idee semplici, la sapiente brutalità degli uomini forti… Bastano le parole giuste, dirette, gli sguardi, il tono giusto. E allora ci amate, ci venerate. Mi avete amato follemente. Per vent’anni mi avete adorato, temuto come una divinità. E poi m’avete follemente odiato perché mi amavate ancora. Mi avete ridicolizzato, scempiato i miei resti perché di quel folle amore avevate paura, anche da morto. Ma ditemi: a cosa è servito? Guardatevi intorno: siamo ancora tra voi». Un riferimento all’attualità e al populismo moderno da far dubitare che la serie possa aiutare a capire cosa sia stato realmente il fascismo. Forse ne trasmette un aspetto, quello più irrazionale, soprattutto nella prima parte, che potrebbe anche esercitare un fascino perverso, sia per la complice sincerità di Mussolini/Marinelli nel rapporto con lo spettatore, sia perché dal punto di vista televisivo siamo di fronte a un prodotto coinvolgente, che alterna tragedia a umorismo nero, puntando sull’azione e il ritmo, grazie anche alle note distorte della musica elettronica di Tom Rowlands. È semmai il carico di violenza repellente, a partire da quella nei confronti delle donne, che riequilibra il giudizio su Mussolini e il fascismo.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: