Luigi Baldacci, il critico militante «troppo intelligente» nel valutare il '900
sabato 14 aprile 2012
Luigi Baldacci, «ovvero la critica militante. Vi pare poco?». Così Massimo Onofri conclude il ritratto apologetico del suo amato e ammirato maestro. Qualche riga sopra aveva caratterizzato Baldacci come un critico che arriva a nascondere, invece che esibire, gli splendori della sua intelligenza: «con sottile sprezzatura, ha finito per perseguire in ogni suo articolo un ostinato esercizio di dissimulazione: la dissimulazione d'un ingegno troppo al di fuori dell'ordinario». Il saggio di Onofri è stato scritto nel 2006 e compare ora in un volume intitolato Altri italiani. Saggi sul Novecento (Gaffi editore). Per mancanza di sintonia caratteriale, per diversità di gusti, formazione e interessi, non ho apprezzato Baldacci quanto meritava. Più semplicemente, facevo fatica a leggerlo, probabilmente ingannato dalla sua sprezzatura e dissimulazione stilistica, dall'apparente modestia con cui metteva in ombra un'originalità di punti di vista a volte oltranzistica e scandalosa. Le sue competenze in letteratura italiana novecentesca erano eccezionali e forse uniche, almeno nella sua generazione: una generazione nella quale del resto, per vastità di letture e forza di carattere, i suoi rivali potevano apparire più spavaldi, disinibiti, nonché spregiudicati fino alla faziosità o all'esibizionismo: si pensi a Edoardo Sanguineti, Cesare Garboli, Pietro Citati, Walter Pedullà. Ma Baldacci aveva un vantaggio: era un critico più empirico e più tradizionale che non dimenticava la storia. Una delle sue idee centrali (un'idea che è un giudizio di valore, come sempre nella sua critica) è che nei primi venticinque anni il Novecento aveva già dato il meglio di sé e stabilito sia modelli fondamentali che valori insuperati: con Svevo, Tozzi, Pirandello, Bontempelli, Palazzeschi – per non parlare della lirica di Saba e Gozzano, Sbarbaro e Campana, Rebora e Ungaretti. Altra valutazione centrale in Baldacci è la «diminutio» (per constatata minorità e per epigonismo) di autori come Calvino e Sanguineti: usciti entrambi, nonostante i travestimenti, dalla prosa d'arte di Emilio Cecchi.
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