venerdì 9 settembre 2011
L'ho ammirato anche da calciatore: Cesare Prandelli aveva uno stile suo anche quando era vestito Juve Style e poteva menar vanto di appartenere al club più popolare d'Italia, uno dei più fascinosi al mondo. Dire basso profilo - o low profile, alla Elkann - non basta: lavoro e correttezza, sempre, certo per sua natura ma anche per esser cresciuto alla scuola di Boniperti & Trapattoni, due italiani per la storia, non solo pallonara. Poi gli si è anche voluto bene per il suo dramma famigliare e si continua a stimarlo perchè anche quando lo tirano per la giacca nelle polemiche ci sta un attimo e poi scappa. Con un sorriso buono, un'aria serena. E attenti che certi complimenti non vogliono dire ch'è un pacioccone, anzi: è un tipo puntiglioso e soprattutto uno che fa di testa sua, e quando sbaglia si scusa ma non cerca alleati comodi o padrinati. La Nazionale che fu - pur in anni nobili - divisa fra i fronti critici delle “Belle Gioie” e delle “Jene” (copyright Giovanni Arpino) ha con lui recuperato immediatamente il sereno dopo la tempesta sudafricana e dire che Prandelli è il contrario di Lippi non è una rivelazione, né una critica per Marcello: Cesare è più ricostruttore che inventore. Anche di uomini: Cassano e Balotelli gli devono la vita calcistica. Mi piace parlare di lui alla vigilia del nuovo campionato perché vorrei che Prandelli - l'uomo e l'allenatore - fosse assunto come testimonial di una stagione diversa. Diversa da quella del calcioscommesse, della rissa fra Agnelli e Moratti e dello sciagurato scontro fra i calciatori e i presidenti che forse s'erano messi in mente di giocare, con i soldi della paytivù, un campionato senza pedatori. Mi piace anche pensare che una scelta tecnica di basso profilo (mancano al via Ancelotti, Lippi, Ranieri e Delio Rossi, tanto per dire) voglia significare non solo che i Padroni del Vapore han finito i quattrini ma che hanno in mente di moderare il divismo (magari anche il proprio), di preferire un po' di gioventù al campionismo datato e di affidarsi alla scuola italiana. Il tecnico della Roma Luis Enrique a parte, l'unico a mio avviso autorizzato a barcellonare, a seguire le tracce di Guardiola, e lo dico senza ironia ma con grande curiosità. Agli altri mister, più o meno giovani, non dedico il ritorno in pista di Zeman e del suo astrattismo tattico bensì il recente curriculum azzurro realizzato dall'impressionista Prandelli: otto partite, sette vittorie, un pareggio, sedici gol realizzati, uno subìto. Un gol e l'accesso agli Europei. Che lezione. Voglio raccomandare a tutti, ma in particolare al Milan, all'Inter e al Napoli che cominciano il campionato pensando già alla Champions, di dare ali all'entusiasmo offensivo, va benissimo, ma solo dopo aver costruito difese coriacee e coraggiose. Come ha fatto Prandelli. Uno che la sa lunga: negli anni dell'epopea juventina ha vinto con il Trap e il suo calcio tre scudetti, una Coppa Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa.
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