Lo sport a Cuba, Fidel Castro e quegli ultimi sorrisi d'oro
mercoledì 30 novembre 2016
È bello immaginarselo, seduto davanti al televisore, il 20 agosto scorso, il penultimo dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. Cuba ha, fino a quel momento, vinto tre medaglie d'oro, due nella lotta greco-romana e una nel pugilato. Proprio in quest'ultima disciplina due giovani atleti, a distanza di pochi minuti l'uno dall'altro, aspettano il loro momento. Alle 19.18 inizia la finale dei pesi gallo e sul ring c'è Robeisy Eloy Ramírez Carrazana, nato a Cienfuegos. Combatte contro un americano per difendere la corona olimpica, perché lui la medaglia d'oro l'ha già vinta a Londra quattro anni prima, combattendo nei pesi mosca. Un'ora e due minuti dopo tocca ad Arlen López Cardona, pesi medi, contro un uzbeko. Lui è campione del mondo e la medaglia olimpica rappresenta il suo sogno.
Nulla si sa delle reali condizioni di salute di Fidel Castro quella sera, si sa soltanto, con certezza, che sette giorni prima ha compiuto novant'anni. Quei ragazzi con i guantoni, invece, di primavere ne hanno soltanto ventitré e hanno in comune la data di nascita, il 1993, anno difficile per Cuba. L'isola è in piena crisi e in recessione economica, ma orgogliosamente si ostina a rifiutare donazioni americane di cibo, medicine, denaro e, proprio quando già in ginocchio, viene squassata da un tornado destinato a passare alla storia con il nome di Storm of the Century, la tempesta del secolo. Venti che soffiavano intorno ai 200 km/h, lasciandosi alle spalle dieci morti e un miliardo di dollari di danni. Chissà cosa sarà passato per la testa a Fidel Castro, in quell'ora della sera cubana della scorsa estate, con l'isola intera attaccata alle radio o davanti ai televisori.
Sul ring Arlen López Cardona, nato a Guantánamo nel 1993, nell'estremo sud dell'isola di Cuba, proprio dove c'è la famosa base della U.S. Navy, che dopo l'attentato alle Torri Gemelle è diventata una prigione segreta per terroristi e Robeisy Ramírez nato a Cienfuegos, un nome sempre evocativo per Fidel. Il legame fra Fidel Castro e lo sport è sempre stato enorme. Lo era per ragioni personali, essendo un grande appassionato, ottimo giocatore di baseball e ipnotizzato dai Giochi Olimpici.
Ho un ricordo, che resterà indelebile. Con la nazionale italiana ho disputato due partite a L'Avana, nella Ciudad Deportiva. Si aspettava il suo arrivo in un'impressionante palazzo dello sport tutto di legno, pieno zeppo di tifosi lì a urlare il loro amore per La Isla, anche in virtù di biglietti d'ingresso pressoché gratuiti. Infatti, in alto, in quel palazzetto campeggia una scritta gigantesca: «El deporte derecho del pueblo», lo sport diritto del popolo.
Cuba ha sempre fatto così, fin dai tempi della rivoluzione. Me lo raccontò nel 2006, Alberto Granado, compagno di Ernesto Guevara nel suo famoso viaggio in motocicletta attraverso il continente sudamericano, che incontrai a Milano. Fra mille aneddoti, mi raccontò della curiosa esperienza che lui ed Ernesto fecero nel piccolo paese colombiano di Leticia, improvvisandosi allenatori di una squadra di calcio. Una storia meravigliosa, alla quale ho dedicato un romanzo e uno spettacolo teatrale, che si interruppe in un momento di altissima emozione, quando Alberto Granado, guardandomi dritto negli occhi, mi disse: «Se vuoi misurare il grado di civiltà di una società devi considerare la qualità di tre suoi parametri: la scuola, gli ospedali, lo sport». Probabilmente la storia non assolverà Fidel Castro, come lui stesso aveva profetizzato nel famoso discorso durante il processo per l'assalto alla Caserma Moncada nel 1953, ma questa idea di sport gratuito e accessibile a tutti, di sport come fatto culturale e diritto del popolo resta un esperimento unico nel mondo. Lo aveva ben chiaro Teofilo Stevenson, bicampione olimpico, capace nel 1976 di dire no al passaggio al professionismo dichiarando: «Che cosa valgono cinque milioni di dollari, se ho l'amore di otto milioni di cubani?». Lo hanno ben chiaro anche Robeisy Ramiréz e Arlon Lopéz, quaranta anni dopo, con le loro medaglie d'oro olimpiche al collo, capaci senz'altro di strappare, in una meravigliosa e leggera sera dell'estate cubana, uno degli ultimi sorrisi al Comandante.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: