venerdì 19 settembre 2014
Ieri L'Osservatore Romano apre: «Tutte le lingue della Chiesa». Profondità sempre inattesa: Francesco ricorda che oggi «la Parola di Dio si legge in tutte le lingue». Vietato per secoli tradurla in lingua corrente. Ma «all'inizio non fu così», e questo vale anche per «le lingue della Chiesa». La celebrazione dei sacramenti in lingua corrente, come si sa, è stata un punto d'arrivo piuttosto recente. Eppure Dio parla sempre tutte le lingue. Eppure anche all'inizio - proprio all'inizio! - del cammino della Chiesa non fu così. Negli Atti degli Apostoli (2, 1-13) «le lingue» sono importanti. Innanzitutto «qualcosa come lingue di fuoco sopra ciascuno dei credenti» – non solo sopra gli Apostoli, ma «sopra i credenti» – e poi perché tutti, di tutte le nazioni, «li sentivano parlare nelle loro lingue». Ecco: parlare agli uomini dicendo le cose di Dio, ma a ciascuno nella propria lingua. Altrimenti si rischia di essere soffio di vento inutile: appaga solo chi parla e non è recepito da chi ascolta. È la conversione del linguaggio, necessaria all'annuncio. È il primo motivo del perché «la Chiesa deve essere in uscita»: roba di Spirito Santo, contro ogni nostalgia estetica in ritardo sulla vita del prossimo, che non ha confini.
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