domenica 29 settembre 2019
Lacrime. Parolina quando sono sincere, parolaccia quando sono false. Ma come distinguerle? Le sole su cui possiamo essere certi sono le nostre. Noi sappiamo se le nostre lacrime sono sincere o false. Sono sincere se facciamo di tutto per trattenerle, le ingoiamo con un brivido, un singhiozzo, trattenendo il fiato ma loro sgorgano da sole e a quel punto sono un diluvio irrefrenabile, meglio lasciarle andare finché si esauriscono. Sono sicuramente sincere se sono versate in privato, lontano dagli occhi, senza pubblico, senza alcuna richiesta di conforto, senza che possano diventare merce di scambio. Sono false quando ci sforziamo per farle uscire e non è facile, occorre essere predisposti, allenati ed esperti. E per chi ci guarda non è semplice distinguere le une dalle altre perché le lacrime altrui annullano le nostre difese, la diffidenza e il sospetto.
Sospetto... È bene sospettare di tutte le lacrime televisive, con buona pace per le rarissime sincere. Quando il 17 settembre 2011 a "C'è posta per te" il grande Robert De Niro si mette a piangere davanti a Maria De Filippi, che cerca invano di frenare le proprie lacrime, il ragionamento è semplice: su un palcoscenico, con un attore consumato formatosi all'Actors Studio e all'implacabile metodo Stanislavskij, in un programma in cui la lacrima è un prodotto al pari della risata, un applauso ad attori e figuranti. Ma quando Dalida piange ascoltando Ciao amore ciao, che Luigi Tenco canta a Sanremo poco prima di togliersi la vita, è presumibile siano lacrime vere.
Le lacrime richiedono abilità critica, nella finzione dello spettacolo che vuole essere vero come nella realtà della vita che a volte è spettacolo camuffato, perché (quasi) tutto è palcoscenico. Le lacrime sono difficili da decodificare perché sono il momento più alto sia di disvelamento sia di travestimento dei sentimenti. Meno difficile è riconoscere di quali lacrime si tratti: amare se siamo beffati dalla sorte, di gioia quando il cuore ne trabocca, di dolore se travolti da una tragedia (morte, malattia o abbandono), di nostalgia presso la tomba di una persona cara. Ci sono lacrime individuali e lacrime di un popolo intero, come la quelle, reali o metaforiche, versate presso il Muro del Pianto, il Koteò, a Gerusalemme; e allora le lacrime si fanno memoria dolente per ciò che fu ma anche promessa: Dio non ci abbandona.
Intanto, mentre in televisione prosegue il pornografico mercato delle lacrime false con i falsissimi reality, le lacrime vere si vanno rarefacendo. Un fenomeno non recente, se già nel 1977 Roland Barthes, nei Frammenti di un discorso amoroso, annotava: «Chi scriverà la storia delle lacrime? In quale società, in quali epoche si è pianto? Da quando gli uomini hanno smesso di piangere? Che ne è della sensibilità?». Un tempo era disdicevole piangere, almeno per i maschi. Marco Aurelio proponeva l'apatia come antidoto alla tentazione del pianto. Socrate non volle lacrime tra i suoi amici al momento della cicuta, e pianse il solo Fedone.
Proprio perché esecrate, le lacrime abbondavano. Oggi che anche i maschi hanno tutto il diritto di scoppiare in lacrime, fine. Perché? L'assenza di lacrime è il sintomo dell'assenza di forti sentimenti, che ne sono la fonte, sempre più inaridita. I cuori anestetizzati non producono lacrime, ossia acqua, elettroliti, glucosio, proteine, amminoacidi liberi, urea, cellule esfoliate e la lisozima, un efficace antibatterico. Soprattutto le lacrime sono ricche di leu-encefalina, un'endorfina che allevia dolore, tensioni e ansie. Che aumentano ma le lacrime (sincere), venendo a mancare, non accorrono più in aiuto al sofferente.
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