martedì 14 febbraio 2017
«La Natura ammette di dare un cuore assai sensibile all'umanità» (Giovenale 15, 131-132)
C'è gran differenza se nella tua proprietà alzi muri o confini: nel primo caso colui da cui siamo divisi lo chiamiamo nemico e straniero, nel secondo lo definiamo prossimo, confinante, vicino. Il primo, lo teniamo lontano con la forza e le armi; all'altro ci avviciniamo o per stringere un'alleanza, o per curare interessi comuni, talvolta gli chiediamo anche aiuto e in ogni caso lo rispettiamo. Ora invece si diffonde di nuovo, come peste che ripullula, l'opinione dannosa che credevano da tempo rigettata e rifiutata, e non riteniamo che gli stranieri debbano essere avvicinati se non con ostentazione di forza e battendoci il petto come scimmie. Quelle bestie, certo, di solito riconoscono come capo chi le spaventa di più con la sua forza. Perciò bisogna guardarsi dal credere, accecati dalle novità di moda, d'aver finalmente deposto la primitiva bestialità, e far sì che non ci sfuggano i pericoli manifesti dello stato presente: infatti, se guardiamo a quella primitiva origine, certo non negherò che siamo assai più progrediti nella tecnologia, ma non oserei dire quanto in umanità siamo cresciuti. Eppure, se per caso iniziassimo a disperarci per queste difficoltà che incombono di continuo su noi mortali come il masso di Sisifo, sbaglieremmo del tutto. Infatti, quando ci ha generato, la Natura non è stata così matrigna da non aver inculcato nei nostri animi anche un rimedio per tale peste in certo modo innata. Infatti dopo averci spinto a creare legami con gli altri, anzitutto coi familiari attraverso la debolezza naturale, poi con gli amici tramite le dolcezze della relazione, infine anche con l'intera società da cui ci procuriamo i mezzi per vivere; dopo averci messi al mondo così, dico, dal suo ventre materno, la Natura ci ha costretto anche a pensare al nesso tra utilità e benefici, cosicché poi – purché ci serviamo correttamente della ragione, il suo dono più prezioso – ci rendessimo conto che sulla terra esiste un comune destino di tutti gli uomini, come intessuto con corde intrecciate. Bisogna quindi guardarsi dagli abitanti delle tenebre, che dicono che la legge della giungla riguarda per natura anche noi o, se non lo dicono, così agiscono. Costoro infatti confondono la vera natura umana con quella dei lupi e dei leoni; anzi, così annebbiati, corrompono la società e offendono oltraggiosamente la Natura, pur affermando che ad essa sola bisogna dar fiducia nel creare le leggi.
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