giovedì 1 marzo 2018
Ottant'anni fa il famoso studioso Johan Huizinga, vedendo non senza preoccupazione gli uomini, che a stento s'erano ripresi dagl'ingenti e immensi danni della prima guerra mondiale e non avevano ancora potuto risarcire i danni di quel conflitto che aveva coinvolto tutti i popoli, già, spinti da non so qual furore, precipitarsi in una seconda guerra, che avrebbe devastato il mondo intero mettendolo a ferro e fuoco, si prese il compito di scrivere un'opera, con cui mostrare che il fondamento della natura umana e per così dire il cardine della cultura, grazie alla quale tutte le genti del nostro umano genere alimentano la propria umanità, non è l'attività pratica che ci schiavizza alla sfera economica e al lucro, ma la libertà dello spirito: cioè quel libero gioco dell'anima, col quale siamo soliti, usando un metodo razionale, comporre in un certo ordine il caos confuso delle cose e delle circostanze della vita: e diceva che noi godiamo di quest'ordine e di queste norme e leggi razionali non senza un grande diletto dell'animo. Dunque non è l'homo faber a distinguersi dagli altri animali per qualche caratteristica specifica, ma piuttosto quell'homo ludens, che fa liberamente le cose che fa, e d'esse gode nel cuore come un artista delle sue opere, o un poeta dei carmi da sé composti. L'homo faber, infatti, realizza molte cose, ma non le vuol fare per sé stesse: anzi sempre desidera poter ricavare dalle sue macchine e dai suoi strumenti qualche vantaggio o qualche guadagno materiale. Lo studioso voleva, col suo libro, ammonire gli uomini che quella gravissima serietà, con la quale allora s'era cominciato a trattare alcune questioni, era gravida di pericoli, e che nella guerra non c'era proprio nulla di nobile o di magnifico, quando gli altri uomini e interi popoli, con cui si combatte, non solo si ritengono barbari, ma persino bestie e disprezzabili animali; ch'è insano, in una società bene ordinata, pensar solo alla creazione di beni da cui ricavar denaro, trascurando tutte quelle altre cose, di cui suole nutrirsi la nostra umanità. Dieci anni dopo Hugo Rahner, fratello del famoso teologo Karl, pubblicò un libretto, il cui titolo fu proprio "L'homo ludens", "L'uomo che gioca": libretto che da quell'epoca è stato pubblicato più volte per i tipi di diverse case editrici non solo in tedesco, ma anche in moltissime altre lingue. Ricevuto, come un corridore, il testimone di Johan Huizinga, Hugo Rahner, portando molte testimonianze, mostrò come i Padri della Chiesa avessero creduto fermamente che gli uomini dovessero imitare la Sapienza che gioca al cospetto di Dio, anzi Dio stesso che gioca, con una seria leggerezza, che sembra esser molto simile a quell'ironia erasmiana e ariostesca, con la quale quei due uomini grandi c'esortano a guardar tutto dall'alto, e a contemplare la vita umana sorridendo e quasi giocando, non però senza un grande amore verso l'umano genere. Voglia il cielo, dunque, che cominciamo di nuovo a insegnare ai giovani e ai ragazzi quest'altissima e divina maniera d'impostare la vita, grazie alla quale essi possano preferire una libertà dello spirito non priva di studi e la prepongano a quel folle e delirante efficientismo, al quale alcuni giorno e notte, senza posa, dedicano tutti i loro sforzi.
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