martedì 12 ottobre 2004
Non mi piace la parola "tolleranza", ma non ne trovo una migliore. L"amore ci insegna ad avere per la fede religiosa degli altri lo stesso rispetto che abbiamo per la nostra. La tolleranza non è indifferenza per la propria fede, ma amore più puro e intelligente per questa fede. È chiaro che la tolleranza non è confusione tra bene e male, tra giusto e ingiusto. Parole sacrosante, queste di Gandhi (1869-1948), il grande maestro della non-violenza. Parole necessarie ai nostri giorni, piuttosto segnati da fanatismo e intolleranza. Egli aggiungeva che «la tolleranza ci dà un potere di penetrazione spirituale che è lontanissimo dal fanatismo come il polo nord dal polo sud». Certo, egli ha ragione nel dichiararsi insoddisfatto dell"uso di questa parola perché implica una punta di altezzosità e di superiorità nei confronti del "tollerato". Non per nulla il cristianesimo preferisce la parola "amore".Tuttavia la tolleranza è già un grande passo, soprattutto se educa alla conoscenza e al rispetto dell"altro, del diverso, dell"estraneo. Questo atteggiamento non dev"essere indifferenza, confusione o sincretismo vano e vago. È consapevolezza della differenza ma anche della possibilità - attraverso un dialogo reciproco - di raggiungere una convivenza, un"armonia, una solidarietà. Essa non è solo un non fare male all"altro ma anche un aiutarlo a superare le difficoltà dell"estraneità per sentirsi accolto e rispettato, spegnendo paure e reazioni battagliere. Diceva Gandhi: «La non-violenza è la legge degli uomini, la violenza è la legge dei bruti».
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