La scuola? Se non è in presenza non esiste
venerdì 5 giugno 2020
Il caos in cui è precipitata la scuola in questi ultimi tre mesi di pandemia è davvero preoccupante. Non ne ho esperienza personale né famigliare. Ma gli insegnanti che conosco me ne parlano disperati. Sono sopraffatti dalla fatica e dalla frustrazione dovute all’insegnamento online, che li impegna troppe ore al giorno senza che possano avere né la certezza di essere davvero utili né la percezione fisica di comunicare in presenza di esseri umani. Alcuni di loro sono arrivati a chiedermi di scrivere un articolo sui problemi che hanno, perché si sentono soli e inascoltati. Ho risposto che non sono realmente in grado di farlo e mi sembra di non averne il diritto. Non si può parlare del venir meno di un’esperienza scolastica diretta, che è il vero problema, senza averne esperienza diretta. Ma neppure gli insegnanti si trovano nella condizione di poter discutere fra loro, essere solidali, sostenere un punto di vista comune, suggerire soluzioni pratiche facendo sentire con forza la loro voce. Del resto le opinioni sono e possono essere varie e contrastanti. Una sola cosa sembra davvero certa: che “fare scuola” è impossibile online. La scuola, come il teatro, è incompatibile con la rete perché in mancanza di presenza fisica, la scuola non è più scuola, come il teatro non è più teatro.
La socialità didattica ha bisogno di realizzarsi “in presenza” e se la presenza è mediata e a distanza ci si rende conto che bambini e ragazzi non sono più in grado di viverne davvero l’esperienza. La trasmissione di cultura ha bisogno di passare attraverso esseri umani vivi e prossimi, che la rendano prossima e la facciano vivere. È noto che si ricorda per tutta la vita l’apprendimento di certe “materie” scolastiche identificandole ancora con la persona dell’insegnante da cui per la prima volta le imparammo o non riuscimmo a impararle. Sgradevole l’insegnante e sgradevole la materia, coinvolgente chi insegna e coinvolto chi impara. Certo, si potrebbe avere un po’ di immaginazione. Per esempio un’amica ha trovato che organizzare un giornale di classe risulta una pratica di insegnamento forse non del tutto ortodossa ma stimolante proprio per questo. Si gioca cioè sulla novità, sull’iniziativa degli studenti, sulle loro curiosità, il che richiede la loro capacità di cooperazione anche nella scelta degli oggetti su cui scrivere: si tratti di film, musica, libri, natura, pensieri giornalieri, innamoramenti, cibi, personaggi pubblici amati o detestati… Non si impara e non si insegna se non ci si appassiona.
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