mercoledì 21 luglio 2021
La politica dei No è una strategia vecchia come il mondo che serve ad alzare la posta. Quando costruirono le ferrovie e poi le autostrade i No arrivavano dalla campagna, poiché venivano divisi campi, addirittura paesi, in nome di un progresso che non poteva attendere. Si diceva No per ottenere il giusto indennizzo, sapendo che le ruspe, comunque, avrebbero aperto dei varchi in nome del bene comune, che era superiore al particolare. Oggi, tuttavia, sembra cambiato il contenuto del No, perché non c'è l'esigenza di alzare la posta, mentre sembra più che altro un'alzata di spalle. I no-vax si sostengono facendo girare notizie che esondano nella fantascienza e costituiscono una resistenza che sta facendo del male alla collettività. Anche partiti e organizzazioni sindacali talvolta si accodano, mentre serpeggia il sospetto che 17 milioni di persone restie al vaccino siano comunque un bacino di voti. Il pass vaccinale per entrare al ristorante viene osteggiato in nome di una complicazione applicativa (mostrare una foto da un cellulare?) che non è né più né meno difficoltoso del pagamento con la carta di credito. Dicono che in questo modo si dimezzerebbe la clientela, per un settore già provato dai lunghi lockdown. E sarebbero proprio i giovani i soggetti ai quali verrebbe inibito l'ingresso. E quindi che si fa? Liberi tutti e soprattutto libero il virus di propagarsi con l'incognita di nuove varianti? Tuttavia, la voce di chef come Antonello Colonna e Gianfranco Vissani stride con quella dei sindacati di categoria: meglio controllare chi ha il pass vaccinale che chiudere per l'ennesima volta. E qui la politica dei No inizia a sgretolarsi di fronte al buon senso. Lo stesso che quando eravamo bambini ci propinava le vaccinazioni a scuola e nessuno alzava la voce, men che meno fantasticava scene apocalittiche sui social. Scendo in cantina e vado a cercare una bottiglia da premio: il Blanc de Simòn del 2012, a base di uve tocai (oggi si chiama friulano) che era l'orgoglio di Enrico Veliscig, 102 anni, produttore di vini a Cormons, conosciuto col nome di Simòn di Brazàn. Lo assaggio e lo trovo integro e mi chiedo: ma che tempra hanno i vini e i vignaioli friulani? Enrico, ma prima di lui Livio Felluga hanno sfondato la barriera dei 100 anni: una vita diritta, dominata da un incalzare di eventi, ma anche da quel buon senso che ha permesso loro di sviluppare, nel loro piccolo, quello che si chiama progresso. Che è stato possibile solo mettendo da parte quei tanti No.
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