venerdì 22 novembre 2013
Si sentiva dire che la Sampdoria, per salvarsi, volesse ingaggiare Zeman, il tecnico che vive all'attacco, sa guidare gli umili e non sopporta i narcisi. Pazza idea. Degna di quella moltitudine di qualunquisti che si fanno eroi di sconfitte “a testa alta”, orgogliosi di aver perso “però giocando”. Come se il calcio fosse una sorta di ciapanò, gioco che privilegia le carte basse (gregari) ai “carichi” (campioni). Alla fine, Garrone ha scelto una via di mezzo vagamente nostalgica, ingaggiando Sinisa Mihajlovic, già allievo di Vujadin Boskov e come lui serbo, cui toccherà il non lieve impegno di far dimenticare Delio Rossi e utilizzare al meglio giocatori non mediocri come Palombo, De Silvestri, Pozzi, Sansone, Eder e Gabbiadini. La scelta di Sinisa, legato con un contratto da ct della Serbia fino al 2016 cui ha rinunciato per la Samp, ha stupito proprio mentre grandi ex italiani rifiutano panchine nostrane e vanno cercando gloria nelle contrade più esotiche e comunque - come Ancelotti a Madrid - all'estero: Ranieri al Monaco, Zaccheroni in Giappone, Lippi in Cina, Capello e Spalletti in Russia. E Mancini al Galatasaray, che segnalo a parte perché i suoi successi nazionali e internazionali mettono in dubbio le nostalgie serbe dei dirigenti blucerchiati: certo mancando di riguardo all'antico Vujadin, s'è detto spesso che lo scudetto della Samp '91 non fosse tutta farina del suo sacco ma risultato della collaborazione con Dossena, Vialli, Cerezo e Mancini; e il tempo ha risolto, se ce n'era bisogno, il mistero: se c'era un allenatore in campo, mentre Boskov spandeva saggezza dalla panchina invocando coraggio e “dissiplina”, quello era Roberto, già nel ruolo di “suggeritore” accanto a Eriksson alla Lazio, poi riscoperto tecnico validissimo non solo nell'Inter ma anche alla guida del Manchester City, fino a diventare spauracchio turco della Juve di Champions. Con tutta la buona volontà, il Mihajlovic passato rapidamente e senza lasciar rimpianti sulle panchine di Inter, Bologna, Catania e Fiorentina non possiede la competenza, l'esperienza né il carisma di Mancini, anche se ha celebrato con alate parole l'insediamento a Genova nel nome di John Fitzgerald Kennedy. Voleva dire ai genovesi (come il presidente americano ai berlinesi): «Siamo tutti sampdoriani». Stupisce - ricordando sue imprese dialettiche passate - che un discorso così provocatorio e impegnativo non lo abbia rivolto da ct della Serbia ai nazionalisti di Belgrado e dintorni nelle ore in cui brilla sui cieli di quelle contrade la stella di Susic, tecnico della rivale Bosnia Erzegovina, miracolosamente qualificata per il Mondiale 2014. Ma posso capirlo: meglio una panchina italiana low cost (ingaggi a prezzi stracciati) che subire eventuali imprese brasiliane dei “nemici” Dzeko e Pjanic.
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