venerdì 11 giugno 2021
C'è una canzone tedesca che ha trovato un posto nei libri di storia della Seconda guerra mondiale e ovviamente in quelli delle canzonette, come quelli che scrisse Gianni Borgna. Gli italiani degli anni Quaranta non possono non ricordarla, perché oltre a essere davvero bella essa cantò in tempo di guerra la nostalgia, la tristezza che nasceva negli uomini (nei soldati) dalla lontananza da casa e dalle loro donne, e delle donne dai loro uomini, raccontò l'ansia di un'attesa che poteva non avere fine, che poteva concludersi tragicamente. Si tratta di Lili Marleen, autore Hans Leips, nel 1938 o '39, che diventò dapprima celebre tra le truppe di Rommel in Nordafrica e poi un appuntamento fisso, alle cinque e mezzo del pomeriggio, in una trasmissione nazionale, ascoltata su tutti i fronti. Osteggiata da molti gerarchi perché malinconica e non eroica, fu proprio Rommel a farsene, pare, il difensore. La cantarono in molte, ma soprattutto Lale Andersen, diventata famosa proprio per questo («Vor der kaserne, vor den grossen tor, / stand eine laterne und steht sie noch davor...») e in Italia Meme Bianchi e Lina Termini («Tutte le sere sotto quel fanal / presso la caserma ti stavo ad aspettar. / (…) Anche stasera aspetterò / e tutto il mondo scorderò./ Con te, Lili Marleen, / con te, Lili Marleen»). Quella malinconia e quella nostalgia erano le stesse sofferte dai soldati di ogni Paese, e per questo Lili Marleen diventò una canzone ascoltata, cantata e amata da milioni di soldati di ogni nazione, soprattutto in Europa. Solo gli inglesi le dedicarono un film a soggetto diretto da Arthur Crabtree e un film documentario (visto anche in tv, La vera storia di Lili Marleen) che ne ricostruivano la storia. E naturalmente della canzone si impossessò anche la Marlene per eccellenza del cinema del tempo, Marlene Dietrich, che la cantò in inglese per le truppe americane e la fece entrare nel suo repertorio più assiduo. Tanti anni dopo se ne impossessarono ancora cantanti di più nazioni, da Connie Francis fino ai Matia Bazar e a Milva in Italia, e in cinema le dedicò un bel film R. W. Fassbinder, con una ideale Hanna Schygulla che vi incarnava Lale Andersen. Faceva spesso piangere chi l'ascoltava o canticchiava (ne ho testimonianze dirette) sia che si trattasse di soldati lontani o di donne in attesa, e diventò un motivo che possiamo ben dire "globale", una caso più unico che raro e sul quale forse non si è riflettuto abbstanza... Vi si identificarono uomini e donne di tanti Paesi e di tanti fronti, forse tutti. Molte erano peraltro le canzoni che raccontavano in quegli anni la malinconia del distacco, gli incubi della guerra. Penso, in Italia, alla Serenata del mare («Torna ogni nave, e tu non vuoi tornare,/ che lacrime amare ho pianto per te...»), a Lontano («Lontano/ tutti abbiamo una casa, / tutti abbiamo una sposa. / La speranza, l' attesa...»).
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