mercoledì 3 febbraio 2016
Quante idee, e tutte suggerenti, in così piccolo libro! Sto parlando di Justice Machines, di Jacques Charpentier (pp. 104, euro 14) che allunga i meriti dell'imperterrita casa editrice Liberilibri di Macerata. Charpentier (1881-1974), grande avvocato e scrittore, è stato bâtonnier (cioè presidente del Collegio forense) negli anni della guerra e dell'occupazione ed è stato tra i protagonisti della Resistenza francese. Questo «Racconto di fantascienza giudiziaria» fu pubblicato nel 1954 e viene finalmente reso disponibile al pubblico italiano nella traduzione e cura di Guido Vitiello, della Sapienza di Roma.È un'amara distopia giudiziaria sul risveglio di un reduce che, dopo dieci anni di coma per effetto del gas soporifero B.G.H., cerca di riprendere la sua vita di avvocato parigino. Ma in quei dieci anni tutto è cambiato: il Palazzo di giustizia è diventato un centro sportivo con piscina in cui gli avvocati si addestrano al nuoto sincronizzato. Di tempo ne hanno, perché la giustizia è ormai amministrata da macchine che sputano sentenze casuali, e gli avvocati devono limitarsi a compilare schede molto semplificate che sintetizzano i dati delle controversie civili e penali. Sarà la macchina a elaborare i dati e stilare la sentenza. Il bello è (se si può dire bello) che tutti sono lieti della nuovissima procedura, tanto più perché le compagnie di assicurazione (assicurazione obbligatoria) risarciranno gli insoddisfatti.L'avvocato si indigna, non vuol diventare complice di quel meccanismo disumano, ma un decisivo colloquio con un ex magistrato, un tempo famoso araldo della giustizia giusta, lo convince che una forte componente casuale c'è sempre stata nell'amministrazione della giustizia, per cui tanto vale affidarsi in toto alle leggi statistiche, con buona pace della saggia definizione di giustizia come «logica applicata alla morale».In effetti, il problema della fallacia dei giudizi umani è antico quanto il mondo, e già Plutarco rimpiangeva il ricorso agli oracoli di Delfo, anziché ai tribunali, pur dubitando dell'attendibilità dei responsi. Tanto vale, allora, sostituire i tribunali con le macchine, regolandole in modo di rispecchiare le statistiche giudiziarie: «Le decisioni della giustizia obbedivano dunque, come tutti i fenomeni sociali d'altronde, come i matrimoni, come le nascite e come i suicidi, alle leggi del caso».La provocatoria distopia, molto ben scritta e argomentata, ha però un punto debole. Poiché, nella mia vita precedente, per quattro anni ho insegnato statistica all'università, faccio presente che le cosiddette leggi statistiche casuali non intaccano il principio di causalità (il caso non sopprime la causa). Per esempio, potrebbe risultare che, fra tutti i morti di cancro, quelli con gli occhi azzurri sono il 47%, mentre quelli con gli occhi neri sono il 13%; nonostante ciò, sarebbe scorretto correlare il colore degli occhi alla morte per cancro, che evidentemente ha altre cause. Chi ha gli occhi azzurri non è, per questo solo fatto, più predisposto a morire di cancro.Inoltre, le leggi empiriche del caso funzionano nel rispetto dell'aleatorietà. Le macchine giudiziali di Charpentier, invece, sono manipolate dal governo per allinearle alle statistiche giudiziarie, quindi la casualità va a farsi benedire.Eppure, osservando come troppo spesso la giustizia è vilipesa nei tribunali, l'ipotesi di ricorrere alle macchine sputasentenze non è poi così peregrina, senza dimenticare, come scrive Vitiello nella postfazione, che la magistratura, umana o meccanica, non può rinunciare a un proprio cerimoniale, cioè ad apparire (a essere?) commedia. Peraltro, e conclusivamente, la sfiducia nella giustizia denota pur sempre abdicazione al principio di responsabilità.
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