giovedì 2 marzo 2017
Un piccolo e prezioso saggio della scrittrice Virginia Woolf sul punto di vista del romanzo russo si apre con un dubbio sulla nostra possibilità di capire. Noi comprendiamo veramente tutto quel che crediamo di capire? Diamo per scontato di capire tutti coloro che ci parlano, ma sarà proprio così? Virginia Woolf applica l'interrogativo al campo letterario: i francesi e gli americani, che hanno, tra l'altro, molto in comune con gli inglesi, ne comprendono la letteratura? E gli inglesi, a loro volta, sono capaci di capire la letteratura russa? Esistono in effetti distanze invisibili che guadagnerebbero a divenire coscienti, se davvero vogliamo pervenire al punto di vista dell'altro. Nel caso della letteratura russa, per esempio, balza subito all'occhio la differenza linguistica. L'autrice scrive: «Di quanti hanno banchettato a Tolstoj, Dostoevskij e Cechov negli ultimi anni, non più di uno o due, forse, sono stati in grado di leggerli in russo». Ora, non avere mai udito la lingua originale equivale a rapportarsi a una versione diminuita della realtà, divenendo facili prede di fantasmi e pregiudizi, dai quali neppur sempre stiamo in guardia. Per questo, comprendere non è un processo automatico. È un esercizio di avvicinamento e di ascolto, rispetto al quale dobbiamo spesso riconoscere la nostra fragilità e l'inadeguatezza dei nostri strumenti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI