sabato 16 marzo 2019
«Tutto va bene», andava gridando per le vie la guardia della notte quando era il tempo che si mettevano le grate alle finestre basse e le strade non erano illuminate che da qualche torcia sulla parete d'ingresso dei palazzi del Signore della città. È lo stesso grido che prima con timore e incertezza poi forse con qualche speranza i nostri quotidiani ci invitano a leggere la loro prima pagina con le notizie della politica locale. Dopo il primo e il secondo foglio le novità del mondo ci vengono rese note, forse per consolarci delle prime e per farci sapere che non tutto ciò che non va è colpa del nostro paese, ma che l'incertezza di un futuro anche prossimo sarà condivisa con altri popoli a noi vicini. Quasi che ricevere uno schiaffo in compagnia sia meno negativo che sopportarlo da soli. Lontana da me la presunzione di giudicare leggi dell'economia che sostengono la nostra terra e quella Unità di cui facciamo parte, ma da qualche tempo è nell'aria, nel discorrere dell'andamento del giorno quel velo di incertezza e quella ritrosia nel prendere nuove iniziative in ogni campo. Il mondo ha vissuto per migliaia di anni con l'intelligenza e la fantasia dei popoli del Mediterraneo, e quanto potrà ancora durare portando alta la bandiera della civiltà e della cultura se noi stessi ce la lasciamo portare via di mano da chi arriva da Oriente con argento e mirra come gli antichi Re Magi? Abbiamo lasciato ai nostri giovani dimenticare, o non approfondire la nostra storia e ci accontentiamo che negli esami di liceo siano sufficienti poche domandine scritte per avere la licenza. Non conoscere la storia dei nostri paesi significa non saper creare possibilità di crescita e di innovazione; significa perdere la bellezza e la forza di intelligenze giovani che avrebbero bisogno di nuove strade in patria e non avere la necessità di correre su vie lontane per promuovere le proprie capacità. Abbiamo un popolo giovane ricco di intelligenza, di idee innovative, di nobili fantasie, di voglia di lavorare, che non si sente aiutato a trovare porte aperte, né spinto alla ricerca pur sapendo che il suo domani è vicino. Questa terra italiana tanto ricca di bellezza e di fantasia forse perde la propria giovinezza per non sapere offrire strade più aperte alla cultura, al lavoro intellettuale, ma anche alla capacità di inventiva del mondo giovane al quale non si offre sufficiente spazio né interesse per lavorare nel nostro paese. Perché se le intelligenze migliori vanno a lavorare in altri paesi d'Europa qualche ragione ci sarà. La nostra storia antica e nuova ci ha abituato a considerare necessario il lavoro fuori dalle nostre frontiere soprattutto nei momenti del dopoguerra, ma oggi quando i confini sono caduti per sempre, dovrebbe essere ugualmente possibile e alle stesse condizioni, studiare e lavorare in tutti i nostri paesi europei. Perché questo scambio di interessi non avviene? Perché i nostri ragazzi vanno a studiare e a lavorare al di là delle nostre vecchie frontiere? Questo mi pare uno dei problemi urgenti da affrontare per dare maggiore realtà alla nostra nuova Europa.
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