giovedì 22 giugno 2017

La serenità del cielo e il canto festoso degli uccelli, finalmente liberi dalla calura del giorno, facevano da cornice alla processione serale del Corpus Domini, fatta per le vie che si snodano attorno al nostro Monastero in Pietrarubbia. Una piccola chiesa in uscita, pensavo, eppure una grande benedizione per tutti, grazie alla compagnia del Signore che porta in questo mondo la salvezza. Una salvezza che forse il mondo non conosce. Che cos'era per me il dono del battesimo mentre lo ricevevo tra i vagiti dei miei primissimi giorni di vita? Nulla. Eppure è stato un granellino di senapa cresciuto nel cuore: ora è l'albero maestoso che sorregge la mia esistenza. Potrebbero toglierci tutto, ma non potrebbero toglierci mai la fede e questo grazie a un dono non cercato, a un dono non voluto né, forse, mai compreso appieno.


Portare nella città la benedizione divina del Cristo sacrificato e glorioso, che il Santissimo rappresenta, è il dono che possiamo fare all'uomo distratto e sfiduciato. Risento allora la voce del cardinale Martini, durante il Corpus Domini del 2000, mentre ripeteva le parole di Giovanni Paolo II: «Con umile fierezza scorteremo il Sacramento eucaristico lungo le vie della città, accanto ai palazzi dove la gente vive gioisce soffre; in mezzo ai negozi e alle officine in cui si svolge l'attività quotidiana. Lo porteremo a contatto con la nostra vita insidiata da mille pericoli, oppressa da preoccupazioni e da pene, soggetta al lento ma inesorabile logoramento del tempo. Con la nostra solenne processione di questa sera abbiamo voluto dire anche noi queste cose, in comunione col Papa. Abbiamo voluto ancora una volta proclamare la perenne attualità della redenzione sulle strade della nostra vita». Parole lontane da quanto mi è capitato di leggere in questi giorni circa l'Eucaristia relegata a pasto, senza alcuna attinenza col Mistero della Redenzione. Questi pensieri si mescolano alle immagini di un video ricevuto poco prima della processione: membri del Daesh entrano in una chiesa e profanano statue, crocifissi, oggetti sacri, infine danno alle fiamme l'edificio. La serena passeggiata fra i nostri monti si è caricata così di un tormento sottile e crescente.


Tutto si è trasformato e ho avuto davanti agli occhi la processione descritta da Marc Chagall in Exodus. L'ebreo Chagall nel 1952, scopre l'arte della vetrata e, fra molti artisti cristiani, è scelto per riprogettare le vetrate delle grandi cattedrali cristiane (Reims, Magonza ecc) distrutte dalla guerra. Avvicinando il mondo cristiano nei suoi Misteri e nelle sue celebrazioni, sembra che Chagall sia rimasto impressionato proprio da una processione eucaristica per le vie della città. Da questa tavolozza di vita attinge per descrivere l'esodo del popolo ebraico. Nel panorama oscuro della storia il popolo prosegue placido il suo cammino di salvezza accompagnato da una Presenza salvifica. Non mancano i roghi contro la Torah e il Talmud, non mancano le persecuzioni, ma queste non possono sopprimere la vita vera della fede, con i suoi riti e il suo incontro col Mistero. L'esodo per gli ebrei è una sorta di sacramento. Ogni ebreo che celebra la Pasqua passa nel mar Rosso con i suoi padri. Così Chagall, nato ebreo, morto ebreo, rimasto profondamente ebreo per tutta la vita, ha compreso meglio il Mistero del Corpus Domini, di molti cristiani oggi. Il Cristo crocefisso, infatti, è accompagnato da un cerchio di luce, un'aureola enorme che rimanda all'Eucaristia: Memoriale di un Sacrificio che salva la città.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI