L’assistente vocale fa il medium: le domande di un antropologo
mercoledì 10 maggio 2023
La notizia si è diffusa poco meno di un anno fa, quando l’azienda produttrice di uno dei più diffusi assistenti vocali, con grande clamore ha annunciato: «Alexa potrà imitare la voce dei morti» (così il titolo, prudente, su cui si assestò all’epoca il sito del “Corriere della Sera” bit.ly/3B6eypZ e con esso quelli di vari altri media italiani). Ma da ben prima di questo annuncio si vanno diffondendo chatbot e altre applicazioni digitali che, utilizzando ed elaborando immagini e voci già depositate sui social network o appositamente fornite da noi stessi, promettono di (ri)metterci in dialogo con i nostri cari defunti. Ne ho già ragionato qui, anche in riferimento alla recente variante di queste tecnologie volta a simulare contatti con i maggiori santi. L’antropologo Franco La Cecla (autore familiare ai lettori di “Avvenire”), ritornando sulla notizia relativa ad Alexa, propone sull’ultimo “VP Plus”, quindicinale online della rivista “Vita e Pensiero”, una riflessione (bit.ly/42kf8MB) densa di seri interrogativi sull’idea che Alexa «possa incorporare la voce dei nostri cari, e che possiamo sentirla rivivere quando essi non ci sono». Centrale, nel suo testo, è il riferimento all’esperienza, comune a tanti, di sognare i propri defunti, «di vederli e sentirli come li conoscevamo». La Cecla si domanda dunque: «Che cosa c’è di diverso tra il sentire la voce di mia madre con Alexa e quella di sentirla in un sogno?». La differenza, dice, «sta nella promessa di “realtà”» dell’assistente vocale, che, «come sempre accade con la tecnologia, ci si offre come una “oggettività”». È «un trucco, una magia al pari di quelle praticate da un buon prestigiatore». Ma noi tendiamo a «pensare che i media che usiamo ogni giorno siano mediatori molto più capaci di noi di attestare la realtà che ci circonda». In conclusione del suo articolo l’antropologo gioca sulla continuità semantica tra i “medium” dello spiritismo e i “media” della comunicazione, gli uni e gli altri «infiltratisi nella nostra idea di al di là» per renderla «molto più vasta e ambigua», e domanda provocatoriamente: «Che differenza c’è tra il credere che quel numero che stiamo facendo ci faccia parlare con una persona che è invisibile, posta nell’al di là di un luogo a noi inaccessibile adesso, e il credere che un nostro caro ci possa apparire?». © riproduzione riservata
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