domenica 11 aprile 2004
Il convoglio ha le porte spalancate: su un vagone merci stanno caricando una colonna di preti. Tra di loro molti sono vecchi e fanno fatica a inerpicarsi per la ripida scaletta. Un soldato della scorta guarda ed ecco vede che nell'apertura del vagone c'è Cristo che aiuta i prigionieri a salire, sostenendoli per il gomito. Vedendo il Salvatore, invisibile agli stessi preti, il soldato getta il fucile a terra, cade in ginocchio e crede in Dio. I martiri andavano incontro alla loro morte e il Signore li aiutava... A raccontare questa storia esemplare ambientata durante le persecuzioni staliniane è Andrej Siniavskij, noto scrittore dell'ormai dimenticato "dissenso" sovietico, nel libretto Una parabola di Pasqua (ed. Locusta). Ed egli si chiede, senza trovare risposta: «Perché Cristo è apparso a quel soldato e non ai preti?». Non è rilevante sapere il perché; basta capire che quei sacerdoti ortodossi avevano già il Signore nel cuore e il miracolo di quella presenza era per loro quasi scontato. C'è, infatti, nei cuori puri una presenza divina che non ha bisogno di esplicitazioni, di epifanie, di segni, di fremiti.Dovremmo forse chiedere al Cristo vivente di essere in noi e con noi così, nella semplicità dell'alba di ogni nostro giorno, nella serenità donata nel tempo del dolore. Tuttavia per alcuni è necessaria anche l'"apparizione", come alle donne, a Maria di Magdala o ai discepoli, ossia a tanti fedeli che sono in crisi, che sono stanchi e senza speranza come i discepoli di Emmaus. Ma soprattutto a chi ha rifiutato ogni umanità come quei soldati, a chi è immerso nella notte del male o dell'indifferenza, a chi ha perso ogni seme di amore e di speranza è decisiva quella luce improvvisa, quello svelarsi di salvezza.
TORNA ALLA HOME
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: