mercoledì 30 ottobre 2013
Ho detto del sole d'ottobre e del granturco steso ad asciugare, che per me sono quasi la stessa cosa. Ma nella mia storia ci sono anche i torsoli biancastri e coriacei delle pannocchie. In italiano si chiamano tutoli; nome che non mi è simpatico, quanti lo conoscono? Meglio il sardo «caos»; singolare «cau». Italianizzavamo: «i cai», «il cao». Italianizzavamo perché facevamo grande uso di cai. Erano la nostra arma da guerra. I ragazzi del paese si dividevano in due bande, connotate più dai ceti che dai rioni di appartenenza. E la nostra era la banda dei signorini, integrata da subalterni che non ci vergognavamo di chiamare «ascari»: la guerra che facevamo contro l'altra banda, di proletari, temo si debba chiamare di classe; o almeno coloniale. Le due bande si scontravano appena fuori del paese, sui campi di stoppie: non a sassate, come pure poteva succedere, ma lanciandosi contro dei cai. Che tutti ci tenevamo dentro le maglie e le camicie, gonfiandole a dismisura; e che noi della parte sbagliata prendevamo pure da grandi secchi trascinati fino alle retrovie dai meno validi: i «portatori» appunto (sempre ascari). I cai da una volta all'altra li conservavamo nel buio delle cantine: talvolta (slealmente) a bagno, perché pesassero di più. Sì, ma adesso dove sono finiti?
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