martedì 28 gennaio 2014
Ieri un vecchio amico - l'ex arbitro Paolo Casarin - ha scoperto in me «entusiasmo giovanile» perché sostengo a viva forza che il campionato non è finito, che la Roma può ancora insidiare la Juventus. Altri – in particolare, ovviamente, gli juventini – mi accuserebbero piuttosto di “delirio senile”: e invece si tratta soltanto, da una parte di esperienza, dall'altra di obiettiva valutazione.Lascio ai curiosi la rivisitazione dettagliata di episodi clamorosi avvenuti nel tempo come le rimonte dell'Inter di Invernizzi (1970-'71) ai danni del Napoli e del Milan; del Torino di Radice (1975-'76) che soffiò lo scudetto alla Juve; del Milan che con Sacchi (1987-'88) superò clamorosamente il grande Napoli di Maradona e ripeté l'exploit con Zaccheroni (1998-'99) bruciando la Lazio sul filo di lana; e mi fermo al Diluvio di Perugia - arbitro Collina - quando toccò alla Lazio di Eriksson (1999-2000) scucire il tricolore già sul petto degli juventini che a otto giornate dal termine la sopravanzavano di nove punti.Ciò detto fra i giustificati scongiuri dei primi della classe, mi permetto di osservare che le prime battute del nuovo anno hanno evidenziato, dopo il solare successo della Juve sulla Roma, un discreto affaticamento dei bianconeri che hanno dovuto rimontare dallo 0-1 a Cagliari, accusare qualche difficoltà con la resistibile Sampdoria e infine accontentarsi di un soffertissimo pareggio con una Lazio convalescente. Gli “avvocati” di Conte insorgono: grande prova di forza, quella dell'Olimpico, esibita da una squadra ridotta in dieci; è vero, ma la Lazio di Edy “Forza e Coraggio” Reja in dieci aveva appena sconfitto l'Udinese al Friuli. Con maggior serenità bisognerebbe invece prendere atto che sempre, da quando c'è il Generalissmo Conte, la Juve di gennaio accusa un rallentamento dovuto alla preparazione estiva che guarda anche alla ripresa della Champions nel tardo febbraio; la Coppa non c'è più, ma la strepitosa avanzata della Juve – interrotta solo a Firenze – non solo prevede ma pretende una sosta ragionata per il grande dispendio fisico e per l'impatto coi terreni pesanti.La Roma può e deve mantenere lo spirito di sfidante non avventurosa ma fiduciosa perché possiede il gioco più brillante e virtuoso, quello che consente inserimenti “al volo”, com'è successo con Nainggolan, e l'inesauribile “giostra” di sostituzioni che Garcia opera con disinvoltura tattica disarmante, avvicendando campioni a campioni; se è vero che Conteha a disposizione panchinari illustri come Ogbonna, Quagliarella, Marchisio, Isla, Giovinco e Vucinic (?), fa impressione la qualità dei titolari che il francese muove fra la panchina e il campo, gente come Florenzi, Pjanic, Destro, Ljajic. E Totti. Già: il Capitano accetta con allegria – rispetto ai mugugni del passato – di entrare in campo anche quando c'è solo da apporre il suo marchio all'ennesima vittoria. Anche la Roma sostiene da mesi un ritmo infernale che può pagare sul piano fisico ma può permettersi il lusso - com'è successo a Verona - di unire alla spinta agonistica sempre importante la qualità di un giocoliere con Gervinho e di altri virtuosi come appunto Ljajic, Pjanic e Totti.E il gioco assume una magistrale leggerezza insostenibile per gli avversari. In parole povere: la Roma gioca davvero, e si diverte con trame festose e inarrestabili; dotata di una difesa quasi impenetrabile e di un attacco vulcanico pensa solo a vincere. Come negarle il diritto di sfidare l'onnipotente Signora? Cosa c'è domenica? Roma-Parma e Juventus-Inter. Però...
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