mercoledì 16 settembre 2009
Come mai un «saggista, erudito, scrittore, romanista» come Sabino Caronia si è interessato a Jim Morrison, il cantante maledetto, fino al punto da scrivere il quasi romanzo Morte di un cittadino americano (Edilazio, pp. 100, euro 12)? Sembra chiederselo anche Fabio Pierangeli, nella prefazione, e la risposta va rintracciata in quella solidarietà generazionale che lega tutti coloro che, sia pure su sponde e da angolazioni diverse, hanno vissuto la medesima epoca storica, soprattutto se quell'epoca si è rivelata decisiva.
E qui è in ballo nientemeno che il '68, ma non il '68 della rivoluzione studentesca e della «fantasia al potere», ma il '68 del rock e della beat generation, quando Kerouac andava a Parigi in cerca dell'illuminazione (satori, in giapponese) e il tutto finiva in un viaggio con molte sbronze, una valigia smarrita e ritrovata per un contrattempo aviatorio, e il tutto raccontato in Satori a Parigi (1968) con un linguaggio che fa molto Hemingway, ma con molte meno cose da dire.
Anche Jim Morrison andò a Parigi forse in cerca di un satori, ma il satori fu l'illuminazione definitiva, la morte che lo colse nella vasca da bagno il 3 luglio 1971. Infarto, alcol, droga? Forse un po' di tutto, ma forse anche dell'altro.
E il «saggista, erudito, scrittore eccetera» Sabino Caronia è andato a Parigi sulle tracce degli ultimi giorni di Jim Morrison, visitando luoghi, cercando riscontri documentati nelle belle fotografie annesse al volume. Perché Jim Morrison, se fosse vivo, avrebbe oggi più o meno l'età di Caronia, e questo spiega la solidarietà generazionale di cui si diceva. Caronia sovrappone la sua ricerca inevitabilmente esistenziale alla biografia di Morrison, con un procedimento che gli era già ben riuscito con L'ultima estate di Moro, di cui l'anno scorso ci occupammo in questa rubrica.
È imbevuto di riferimenti letterari, il «saggista, erudito, scrittore» eccetera, come lo era Morrison, tutt'altro che semplice rockettaro, bensì anche poeta con buone conoscenze di Rimbaud, Shakespeare, Nietzsche. Lo si apprende fin dal nome del complesso che formò con Ray Manzarek, Robbie Krieger e John Densmore, The Doors, «Le porte», nome derivato dai versi di William Blake: «Se le porte della percezione fossero rese trasparenti, ogni cosa apparirebbe così com'è, infinita».
Caronia trova collegamenti e analogie con Colazione da Tiffany, con Ode a un usignolo di Keats, con la Callas nella Norma di Bellini e, naturalmente, con Kafka per il processo che fu intentato contro Jim Morrison dopo il famoso concerto di Miami del 1969, processo che viene continuamente richiamato nelle pagine del libro, senza mai rivelare di che cosa Jim Morrison fosse stato accusato e condannato. Lo diciamo qui, per i pochi che non lo sapessero: atti osceni in luogo pubblico.
Il musicista si recò a Parigi anche per dimenticare le sequele del processo. Con lui Pamela Courson, la sua «compagna cosmica» che alla vigilia del concerto di Miami gli aveva comunicato di essere incinta non da lui. Pamela morirà per overdose a Hollywood, il 5 aprile 1974, tre anni dopo Jim.
Perché mai rimestare in queste vite scandalose e disperate, che pure crearono poesie, romanzi e canzoni che segnarono un'epoca, come The End, la canzone di Jim Morrison che nel 1979 Francis Ford Coppola usò come colonna sonora di Apocalypse Now? Perché, nonostante tutto, si è trattato di vite in ricerca di un satori che si trova altrove. Ma la ricerca era disperatamente sincera, e Sabino Caronia ha saputo raccontarla con l'immedesimazione del poeta, non senza intuizioni rivelatrici, come l'ascendenza celtica di Rimbaud e di Morrison che spiega la loro attrazione per la foresta, immagine e simbolo del grembo materno.
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