giovedì 27 ottobre 2016
Che il giudice debba essere imparziale, super partes, è un'acquisizione antica: per fare un esempio tratto dalla scorsa liturgia domenicale, nel libro del Siracide (35, 15), quasi ventidue secoli fa, l'autore ispirato sembra proprio intendere un tale carattere come connaturale al ruolo di giudice: «Il Signore è giudice, non è parziale a danno del povero». Una recente pronuncia della Corte costituzionale, proprio sulla base dell'assunto che, ai sensi della Costituzione, indipendenza e imparzialità sono connotazioni imprescindibili dell'attività giurisdizionale, ha dichiarato l'illegittimità della presenza, in seno ad un organo di giurisdizione speciale quale la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, di componenti di derivazione ministeriale (sent. n. 215 del 2016, red. Barbera).
Ripercorrendo un lungo cammino giurisprudenziale, la sentenza sottolinea con forza che l'indipendenza, essendo finalizzata a impedire collegamenti istituzionali capaci di incidere sull'autonomia decisionale del giudice, costituisce lo strumento per garantirne l'imparzialità. Potenziare la cultura e la pratica dell'indipendenza quale strada per avere la tranquillità di un giudice imparziale, è dunque un compito di tutti.
Certamente e in primo luogo lo è del Parlamento e del Governo, perché non capiti più, come talora accadde nell'esperienza pre-costituzionale, che il legislatore ordinario eluda con norme organizzative il principio di indipendenza della magistratura in quanto potere e dei magistrati in quanto persone e titolari di uffici giudiziari. A tale fine, è indispensabile ribadire la necessità di norme stabili e certe, specialmente in tema di stato giuridico dei magistrati: l'ulteriore, recente proroga, per determinati uffici e persone, della possibilità di richiedere il trattenimento in servizio, al pari dell'oscillazione legislativa in tema di anni di permanenza in una sede prima di potere chiedere il trasferimento o la promozione, non vanno in questa direzione.
È un compito, altresì, degli stessi magistrati, come singoli e come associati nelle diverse componenti dell'Anm: uti singuli, attraverso un abito di vita e uno stile che manifestino la realtà e la sostanza dell'indipendenza; uti socii, evitando di confondere tra leale collaborazione istituzionale e servo encomio, come nel caso di richieste "corporative", in sé anche giustificabili, ma tali da legittimare l'adozione di norme-fotografia o di regimi derogatori o di favore. Insomma, per tornare alla citazione del Siracide, è sempre utile ribadire, con riferimento al giudice, che non est apud illum gloria personae, per lui non c'è preferenza di persone.
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