sabato 2 giugno 2012
      Quando arrivi all’Umberto I ti senti perduto tanti sono gli ingressi, le scale, i lunghi corridoi, le strade e le scritte non sempre comprensibili e quel via vai di camici bianchi dove non sai distinguere i medici dalle infermiere e dagli studenti di medicina. Tutto ti sembra confuso, disordinato e rumoroso finché improvvisamente ti indicano la IV clinica chirurgica e un ascensore ti lascia davanti a una porta a vetri. Oltre c’è silenzio e un correre leggero da una stanza all’altra di giovani ragazze con i lunghi capelli raccolti e un largo sorriso che non viene negato a nessuno. Bianco e azzurro è il colore del tuo armadio, delle coperte, delle pareti, ma è soprattutto quel parlare sottovoce, la presenza discreta e rassicurante dei medici che ti avvolge in una atmosfera di pace. Non sai più quale sia il mondo di fuori quando ti senti parte attiva di un gruppo che ti ripresenterà intatta la tua vita. Nel dividere la stanza con donne che non avresti mai avuto l’occasione di conoscere ti accorgi come sia uguale lo scorrere degli anni e dei giorni e come la sofferenza, l’ansia e i tempi della gioia siano distribuiti nel mondo in forme diverse, ma quasi in eguale misura. Nei lunghi pomeriggi quando il sole entra attraverso il colore verde delle tapparelle ti accorgi che racconti di te a chi forse non rivedrai più, ma che ora ti ascolta e ti comprende. L’umanità con le sue inquietudini, con le occasioni perdute, ma con la forza della speranza si scopre una potenza infinita, senza confini, senza paura. Ed è proprio qui dove il dolore è di casa che riesci la notte a prendere sonno anche quando c’è chi si lamenta piano perché non può farne a meno, allora per non lasciarla sola tu conti con le dita le avemarie di un rosario lasciato a casa. Al mattino, negli ospedali, il sole si sveglia presto e ci tiene che tutti ne prendano atto anche quando avevi sognato di essere a casa, nel tuo letto, per modesto che sia. Quando uscirai avrai lasciato qualcosa di te agli altri, forse un pensiero positivo, un senso di fiducia. Io non vi dimenticherò, signore della IV clinica chirurgica anche se non ho scritto il vostro nome, né ci siamo promesse niente per il futuro. Ogni esperienza arricchisce la vita e voi senza saperlo mi avete lasciato molto. Oggi si esce da questa atmosfera di silenzio e di pace e fuori subito ti aggredisce il tuono del terremoto con le sue vittime, le distruzioni ,ma soprattutto le sue paure. L’incertezza appoggia su una relativa conoscenza delle profondità della nostra terra, e la scienza è ancora lontana dal poterci indicare vie sicure di prevenzione. Tutto questo ci fa pensare che siamo ancora lontani dal «possedere la terra» come ci indica la bibbia e che ci salverà solo una maggiore collaborazione nella ricerca per il bene comune. Sarà questa capacità di essere assieme la nostra salvezza. Non vi dimenticherò giovani infermiere, né il corpo medico che ha sempre avuto una parola di conforto per tutti. E a te, grazie per sempre prof. Chirletti.
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