mercoledì 27 maggio 2020
Tutta la nostra attuale conoscenza credo possa essere rappresentata da un immenso puzzle di cui non è possibile contare le tessere e, di conseguenza, quante di esse possano infine determinare la fine. Posto che una fine vi sia. E questa «inflazione» di frammenti di sapere ci porta ciascuno al fitto lavorio del tentativo di unire di frammenti concettuali per costruire non sappiamo più cosa, ossia, in certo qual modo, quali ne siano il fine e la qualità. Vige così l'esubero della quantità, il nozionismo, l'arte della parte per il tutto che però ci è sconosciuto ma che prevede, per statuto, che lo sia. Allora, con uno scatto analitico, con una proiezione mentale, ne decidiamo la forma, sempre più personale e per questo lodata. Come avessimo in dotazione ciascuno una certa quantità di mattoncini di Lego virtuali e la possibilità di acquistarne ancora (come negli stores dei videogames) edificando bizzarre costruzioni in guisa di incerti pensieri. Posti uno di fronte all'altro, costituiscono una sorta d'immensa, sgraziata metropoli d'idee. La potremmo chiamare solitudine dell'incubo, o incubo della solitudine. Allora lo squarcio del vuoto, della preghiera, della contemplazione interiore a dimenticare cosa abbiamo fatto, là fuori. Allora il distacco della sapienza, e l'esilio dalla Torre di Babele.
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