giovedì 19 giugno 2003
La maggior parte degli uomini manca certamente di giustizia, indubbiamente di amore, ma ancor più di significato. L'insignificanza del lavoro, l'insignificanza del piacere, l'insignificanza della sessualità: ecco i problemi di oggi. Così scriveva già nel 1966, sulla rivista francese Etudes, il filosofo francese ora novantenne Paul Ricoeur. Le sue parole potrebbero essere accostate a quelle di un altro pensatore, Viktor Frankl, che in una sua opera, definita "psicoterapia per l'uomo di oggi", opera dal titolo emblematico La sofferenza di una vita senza senso (ed. Elle Di Ci 1982), denunciava «l'abissale senso di insignificanza , intimamente connesso a un senso di vuoto interiore» che attanaglia l'uomo contemporaneo. Colmi di tante cose, siamo poveri di giustizia; ricchi di esperienze sessuali, siamo poveri di amore; facili nel gustare i piaceri della vita, siamo sempre più insoddisfatti; aperti a mille esperienze, siamo sempre più preda della noia (non è un caso che i romanzi più emblematici della società contemporanea s'intitolano La nausea di Sartre e La noia di Moravia o, se si vuole Buongiorno, tristezza della Sagan). Alla radice di tutto c'è, però, proprio quell'"insignificanza", quel non avere una meta, uno scopo, un approdo alto. Tutto finisce nei rigagnoli degli interessi immediati e quotidiani. È così che l'uomo - che pur ha in sé sempre una stimmata
dell'Infinito - si aggrappa a falsi maestri, a guru improvvisati, ricorre persino alla magia. Come diceva Italo Calvino, «il territorio che il pensiero laico ha sottratto ai teologi cade in mano ai negromanti». Già nel libro di Geremia Dio si lamentava: «Hanno abbandonato me, sorgente d'acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non tengono l'acqua» (2, 13).
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