giovedì 28 novembre 2013
Tanti anni or sono in moltissimi – «di tutto il mondo», si diceva – pensavamo di riuscire a fare insieme la storia; e non di esserne fatti (e disfatti). Credevamo che la nostra idea di bene collettivo, di uguaglianza e libertà per tutti, avrebbe prevalso. E allora a me capitava di frequentare, da non iscritto, la sezione d'un partito politico vicina a casa mia. Le discussioni erano interessanti; ancor più interessanti, sul piano umano, gli interlocutori. Ora la sezione ha cambiato nome: ci torno talvolta, non spesso, se la vita che faccio me lo permette. Da poco un personaggio venuto da fuori ha introdotto là un dibattito su temi capitali della politica: ci sono andato. Il personaggio era all'altezza della sua fama e delle mie attese; ma la platea - fatta di gente che conosco da tanto, invecchiata, e di gente nuova, ma non giovane - mi ha deluso, spaventato. In circa tre ore nessuno ha interloquito sulle analisi e sulle proposte strategiche dell'introduzione. È stato un continuo, impacciato mugugno, a molte voci, contro i dirigenti provinciali e regionali del partito. Credo si trattasse di lamentele fondate. Ma era, è, il vero problema? L'immagine che me ne resta, credo rappresentativa, è quella d'una debellatio: d'una sconfitta profonda, di tutti. Dio mio, come se ne esce?
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