mercoledì 11 agosto 2004
Nell'esperienza del parto la donna connette in sé attività e passività: essa, infatti, è attraversata dalle spinte che lei stessa non controlla, eppure il suo agire attivamente per favorirle è essenziale alla buona riuscita del parto.
La partoriente è insieme attiva e passiva e per essere attiva deve abbandonarsi alla forza che la attraversa. È suggestiva questa immagine che la teologa tedesca Dorothee Sölle ha proposto per illustrare la dinamica tra grazia e libertà, tra opera divina e azione umana. Tra l'altro, non
dimentichiamo che anche Gesù, l'ultima sera della sua vita terrena, aveva evocato la donna che sta per partorire come segno di una sofferenza feconda (Giovanni
16, 21). Similmente Paolo aveva delineato la redenzione umana e cosmica come un parto che deve percorrere le asprezze del travaglio ma approdare alla luce della nuova creatura (Romani
8, 19-23). Noi, però, vorremmo stare all'idea della teologa tedesca. La fede è proprio questo nostro adattarci alle "spinte" della grazia divina che ci precedono e ci mettono in moto. È la capacità di entrare in sintonia con la mozione dell'intervento divino, dando vita a un'armonia in cui s'intrecciano grazia e libertà, dono e merito. Spesso, però, dobbiamo registrare nella nostra vita o la passività inerte o anche la resistenza che eleva uno schermo opaco alla luce che irrompe in noi. La figura femminile di s. Chiara che oggi la liturgia ci propone è un emblema, dolce e appassionato, di armonia, di trasparenza, di luminosità: in essa Cristo e l'anima si sono incontrati e abbracciati.
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