giovedì 2 febbraio 2017
Qual è quel vuoto che la passione delle folle per il football tenta di compensare? Quale assenza viene a occultare? Il calcio oggi è vissuto quasi come un surrogato della religione. Uno dei primi a porre la questione in simili termini è stato Robert W. Coles, che sosteneva l'esistenza di analogie tra la realtà sociale di questo sport e le pratiche religiose di ricerca e celebrazione della trascendenza. Quelle che Durkheim chiamava «le forme elementari» del fenomeno religioso possono essere ritrovate, senza nemmeno grandi contorsionismi simbolici, nell'entusiasmo collettivo che il re degli sport suscita. In effetti, il modo in cui la passione per il calcio si manifesta è stato osservato etnologicamente come un rituale religioso o para-religioso: con le sue cattedrali, i suoi officianti, la sua liturgia, le sue regole, le sue narrazioni sacre e i suoi adepti. Anche nel contesto domestico, lontano dallo stadio, ci sediamo davanti al televisore come i partecipanti a una liturgia coinvolgente al massimo grado. Gli echi di una mentalità religiosa perdurano, dunque, benché secolarizzati, riconfigurati e dislocati in un altro ambito. Chiaramente l'oggetto cambia, ma non l'antropologica necessità di relazione. Per questo il football non è solo football. Mette in campo, oltre al pallone, molte questioni pertinenti.
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