martedì 20 luglio 2004
Il mare non cambia mai e il suo operare, per quanto ne parlino gli uomini, è avvolto nel mistero. Tutti i giornali parleranno oggi del varo della nave Cavour, alla presenza del nostro presidente Ciampi, secondo l'antico rituale del nastro tranciato attraverso una piccola accetta d'argento, gesto accompagnato dalla formula «In nome di Dio taglia!». Molti lettori, poi, sono già davanti alle distese marine. Amo, così, evocare oggi questa realtà, che domina sul nostro pianeta, come soggetto per la nostra riflessione. Già l'uomo della Bibbia considerava con attenzione e paura le onde del mare, vedendole come una forza oscura che sembra assaltare la terraferma. Anche uno scrittore marinaro come Joseph Conrad, nella frase da noi citata dal romanzo Cuore di tenebra (1902), contempla il mare come mistero. Chi è abituato a navigare sa che cosa significhi questa solitudine che intreccia in sé pace e timore, proprio come accade quando ci si accosta al divino che è il mistero per eccellenza. Il mare è, dunque, parabola di un'esperienza dell'infinito che ci avvolge. Un altro scrittore, che invece era aviatore, Antoine de Saint-Exupéry, osservava: «Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito». Ecco, ciò che a noi manca in tempi di grande modestia umana, politica e culturale, è proprio questa nostalgia dell'infinito, ossia la tensione verso l'identità, la progettualità alta, l'utopia, la grandezza d'animo, di mente e di cuore. Esse hanno nel mare il simbolo più grandioso.
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