giovedì 7 novembre 2002
La rivelazione della poesia, una volta affacciandomi a una finestra, si impersonò per me in un grande mandorlo fiorito, candido nell'abbagliante chiarore della luna piena. Quasi per contrasto, mentre leggo queste parole tratte dalle Meditazioni e ricordi del poeta Sergio Solmi (1899-1981), dalla finestra vedo solo una cupa notte nebbiosa che tutto copre come sotto un sudario funereo. Ma la fantasia ha il potere di ricreare orizzonti lontani e "impossibili". Così con questo fine scrittore che fu amico di Pietro Gobetti, indagatore dei rapporti tra politica e cultura, immagino di avere davanti a me la stessa visione di un mandorlo fiorito, visione che, tra l'altro, segnò anche la vocazione del profeta Geremia: «Che cosa vedi, Geremia? Risposi: Vedo un ramo di mandorlo» (1, 11). L'idea è, infatti, significativa non solo per "la rivelazione della poesia" ma anche per la rivelazione della grazia. Le realtà più alte non sono create o conquistate da noi, bensì donate. Così accade per la bellezza, la fede e l'amore. Certo, poi toccherà a noi accoglierle, alimentarle, non spegnerle; ma esse sono prima di noi e della nostra ricerca. Il divino è gratuito; Dio ci precede prima ancora che ci mettiamo a cercarlo. Eschilo, il grande tragico greco del VI-V sec. a.C., affermava che «il divino è senza sforzo», proprio perché è donato a noi, è effuso nel nostro cuore e nella nostra mente. E allora, quasi continuando idealmente la riflessione di ieri sull'ingratitudine, ricordiamo che "grazia" e "gratitudine" hanno la stessa radice etimologica e perciò devono correre insieme.
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